E’ il nuovo Direttore Principale della Filarmonica Marchigiana, ha solo 25 anni ma ha già vinto nel 2018 il 3° premio assoluto alla “The Nicolai Malko Competition for young conductors” (unico italiano selezionato su 566 candidati e il più giovane di tutta la competizione). Alessandro Bonato è nato a Verona nel 1995 e ha già al suo attivo un’esperienza da musicista che lo pone tra i giovani emergenti dell’attuale panorama musicale italiano

Complimenti per la recente nomina alla direzione della Filarmonica Marchigiana, ho letto che su qualche giornale ti hanno definito il “baby direttore”, che effetto ti fa?
Grazie davvero. Sono, in generale, abbastanza in disaccordo con la classificazione “baby, il più giovane, bambino prodigio, ecc…”. Gli aggettivi, oggi sempre più abusati, credo che debbano essere dosati e centellinati solo ove ne ricorra veramente l’utilizzo e, solo, nel loro reale contesto semantico, senza denaturarne il significato. Poniamo come esempio l’aggettivo “genio”, sempre più in voga ai nostri giorni. Tale aggettivo esprime il massimo arrivabile, anzi, l’inarrivabile ai più, qualche cosa di estraneo al campo dell’umana intelligenza, superiore ed unico in quanto tale. Questo fa si che, di conseguenza, se reputiamo Mozart come “genio” della musica, tale aggettivo identificativo vada usato solo e soltanto per altri che posseggano pari o superiori potenzialità. Inoltre ritengo che un artista non vada giudicato dall’età, ma dalle qualità, indipendentemente da quanto esse si sviluppino precocemente o meno.
Mi pare di ricordare che tu non provenga da una famiglia di musicisti, come hai scoperto la figura del Direttore d’Orchestra? Immagino che avrai iniziato a studiare musica imparando uno strumento musicale e poi?
La vocazione musicale (perché di questo si tratta se si sceglie questa vita) ce l’ho da sempre; da piccolino mi cimentavo in improbabili direzioni di orchestre immaginarie tramite l’uso di penne o qualsivoglia oggetto anche lontanamente riconducibile ad una bacchetta, ascoltando le Sinfonie di Beethoven. Il percorso, però, si fece reale solo grazie alle mie insegnanti di musica (curricolare e di strumento) delle scuole medie ad indirizzo musicale. Iniziai così lo studio del violino che mi portò, dopo un anno, ad intraprendere il percorso accademico nel conservatorio della mia città. A questo percorso strumentale, se ne accostarono altri, come quello dell’armonia e del contrappunto e, in un secondo momento, della viola e della viola barocca (passando per un bellissimo biennio di viola da gamba come secondo strumento, che mi fece innamorare della prassi esecutiva antica e della filologia). A 16 anni incontrai, casualmente, quello che, successivamente, divenne il mio primo insegnante di direzione d’orchestra: Vittorio Bresciani. Lo vidi dirigere e, di colpo, si riaccese in me quel fuoco che covavo fin da quando ero bambino. E da lì iniziai questo capitolo della mia vita. Nel 2018, sempre all’interno del conservatorio, conobbi il M° Pier Carlo Orizio, che sarebbe diventato mio Maestro, mentore, guida e, col tempo, caro amico e confidente. Da lui imparai moltissimo e, tuttora, mi rivolgo ai suoi preziosi consigli ogni volta che ne ho bisogno.
In questi anni hai già avuto delle straordinarie occasioni di dirigere orchestre importanti.
Assolutamente. Il mio primo concerto come direttore fu a 18 anni alla guida dell’orchestra del mio conservatorio. Poi arrivò l’orchestra del Festival Pianistico di Brescia e Bergamo (del quale Orizio è il direttore artistico) e subito dopo feci il mio vero e proprio “debutto” alla Royal Opera House Muscat. Era il 2016. Nel 2018, grazie al concorso Malko di Copenaghen, ebbi la straordinaria opportunità di lavorare per una settimana con la Danish National Symphony Orchestra (che vanta come direttore principale il M° Fabio Luisi, anch’esso divenuto, dopo il concorso, mio mentore). Dal concorso in avanti, ho collaborato, e continuo a collaborare, con ottime orchestre, come l’Orchestra Filarmonica della Scala, l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, la FORM di cui sono direttore principale e l’Orchestra I Pomeriggi Musicali di Milano, con la quale ho un rapporto molto bello e continuativo da quando faccio questo mestiere (fu la prima orchestra che diressi dopo Copenaghen).
Cosa vuol dire esattamente fare il “Direttore Principale” di una filarmonica?
Gli obiettivi del direttore principale sono molteplici. Innanzitutto, lavorando in maniera continuativa con un’orchestra si riesce a creare una propria idea di suono, di “stile”, di fraseggio, ecc… Inoltre è un modo per mettersi in discussione, una sfida con se stessi. Cercare di far crescere artisticamente una realtà e crescere con essa e attraverso di essa. Volendo scendere nel pratico, il direttore principale o musicale collabora con la direzione artistica per creare i programmi, fare audizioni e concorsi, invitare solisti e ospiti. E’, insomma, una figura che si “dedica” in maniera importante alla realtà a cui è legato e il coinvolgimento non si limita solitamente alla mera esecuzione di uno o più programmi.
Perché spesso si sente dire che il Direttore “suona” e non che “dirige”?
La differenza risiede, a mio parere, nel punto di vista. Che il direttore “diriga” fisicamente un’orchestra è un dato di fatto. Ma, volendo scavare nel significato profondo del ruolo del direttore, è necessario modificare il focus, cambiare prospettiva. Se si pensa al direttore in quanto leader, capo, condottiero, generale d’armata pronto a guidare i suoi commilitoni, si rischia di far passare un messaggio sbagliato, ovvero che chi sta sul podio è, di fatto, più importante di chi sta sotto e i musicisti sono “alle dipendenze” di qualcuno più in alto di loro. In realtà la verità è speculare a ciò che ho appena scritto. Il direttore parla attraverso il gesto all’orchestra, la quale esprime, attraverso le note, il pensiero musicale. Ecco allora che il direttore diventa colui che si mette al servizio dell’orchestra, facendo in modo che essa possa esprimersi al meglio e poter così veicolare le emozioni indotte dalla musica. Il Maestro, concettualmente parlando, è schiavo della musica e di conseguenza dell’orchestra, ovvero è lì per essa. Deve essere autorevole ma non autoritario. Infondere fiducia e sicurezza ai musicisti, fare in modo che essi diano sempre il massimo, far accrescere in loro quel fuoco vivo dell’anima, renderli parte di una grande comunità che abbia come scopo la musica. Questo è il grande compito del direttore.
Quindi il Direttore dovrebbe saper suonare tutti gli strumenti?
Ovviamente no. Dovrebbe, però, averne una buona conoscenza, per sapere come affrontare una partitura nel modo corretto e poter intervenire sui problemi che potrebbero presentarsi in una prova d’orchestra. La conoscenza della strumentazione rende anche migliore la concertazione, dando la possibilità al Maestro di sfruttare a pieno ogni peculiarità dello strumento, valorizzandolo.
Salire sul palcoscenico è sempre una emozione e per molti musicisti anche un ostacolo perché si prova anche ansia e talvolta paura. Tu come affronti lo stress da podio?
Le emozioni sono molte. Vorrei però condividere una riflessione che faccio da qualche tempo e della quale ho anche trovato dei riscontri. Io credo, almeno per qual che riguarda me, che non ci sia tutto questo tempo da lasciare alle emozioni mentre si dirige. Perché è tale la concentrazione da mantenere che, in quel momento esatto in cui si pratica l’atto della direzione, si sta facendo il proprio “lavoro”. Ovvero il compito del direttore è dare sicurezza, energia, chiarezza all’orchestra. Farla sentire sicura. E questo comporta uno sforzo mentale e di concentrazione notevole, tale da non poter dare adito ad emozioni incontrollate… Anche io mi emoziono ogni volta sul palco, ma faccio sempre in modo che le emozioni non prevalgano sulla concentrazione. Mi capita sempre, di contro, di emozionarmi mentre non dirigo, quando ascolto o riascolto un concerto o della musica. Allora si, sono “libero” di dare sfogo alle emozioni anche più recondite, senza paura di condizionare un risultato. L’emozione evidentemente ci deve essere e c’è ogni volta che solo si mette piede sul podio. Un po’ come quando si dice: un artista crea le cose migliori quando soffre e sta male. Ebbene, Bernstein disse invece che una persona che sta male soffre e basta. Non ha tempo né voglia di creare. Soffre. L’opera d’arte nasce in un momento di ricordo di una sofferenza e non durante la sofferenza stessa. Io sono d’accordo. Le vere emozioni immediate le devono provare le persone che vengono a bearsi e a godere delle opere d’arte, della musica, ecc.
Abbiamo visto Direttori molto composti nei gesti e altri che paiono quasi sbracciarsi, alcuni che sfoderano la bacchetta quasi fosse un’arma e altri che non la usano quasi. Qual è il tuo rapporto con la bacchetta?
Fin dai primi istanti di studio e approccio alla direzione d’orchestra, ogni Maestro insegna ai propri allievi che la bacchetta dev’essere come un “prolungamento del braccio”; essa serve per essere visti anche da lontano, per rendere il gesto univoco e fuori da ogni equivoco, per una maggior chiarezza. Man mano che il tempo passa, tuttavia, ogni direttore acquisisce una propria tecnica e un proprio modus operandi, che gli consente di esprimersi e comunicare al meglio. Per quel che riguarda me ho sempre avuto un rapporto intimo con la bacchetta, costruendo il mio gesto su essa. Nell’ultimo periodo, però, sto dirigendo molto anche senza. Questo dipende innanzitutto dal repertorio che devo affrontare: Mozart, per esempio, lo dirigo sempre senza bacchetta, perché riesco ad ottenere quel che voglio usando la chironomia, plasmando il suono e definendo i tipi di attacco esclusivamente a mani nude. Strauss, per esempio, lo dirigo esclusivamente con la bacchetta, perché mi consente di disegnare meglio i legati, le frasi, i rubati, ecc… Tutto questo per riconfermare che il rapporto direttore-bacchetta è estremamente personale e può variare nel tempo per molteplici fattori.
Quali sono i tuoi Direttori d’Orchestra preferiti e perchè?
Ho due grandi miti: Nikolaus Harnoncourt e Carlos Kleiber. Il primo, per me, è artefice di una virata importante del corso della storia della musica. Grazie alle sue intuizioni geniali e alla riscoperta della filologia e della prassi esecutiva ha ricreato un mondo (quello della musica autentica o storicamente informata) dal quale, un musicista del giorno d’oggi, non può trascendere. Il secondo è stato, semplicemente, un Genio. Il più grande genio direttoriale che il mondo abbia avuto l’onore di ospitare. Un uomo che non suonava la musica, ma la dipingeva, la scolpiva nell’aria, la rendeva materia tangibile. Un poeta.
In questo momento quale repertorio stai approfondendo?
Il lockdown, nonostante abbia frenato e paralizzato la mia vita come quelle di molte altre persone, mi ha dato la possibilità di interiorizzare questa grande fatica morale alla quale sono stato sottoposto, concentrandomi sullo studio di alcuni particolari della musica che, fino ad allora, non ero mai riuscito ad approfondire come avrei voluto, in particolar modo la “trattatistica”. Venendo da due anni di viola da gamba e un master in viola barocca con due grandi insegnanti e musicisti di fama mondiale, rispettivamente il M° Alberto Rasi e il M° Stefano Marcocchi, era già nato in me il germe della musica cosiddetta “storicamente informata”; quale miglior momento per approfondirla! E così ho passato 3 mesi a leggere, studiare, analizzare tutti i più importanti metodi e trattati per violino, tastiera e flauto dal ‘600 ad oggi, cercando di entrare nel merito della prassi esecutiva dell’epoca, della morfologia degli strumenti che erano in voga allora e della grande arte della diminuzione e della variazione, oggi, purtroppo, quasi scomparsa.
Che musica ascolti quando sei in auto?
Il mio catalogo musicale potrebbe sorprendere (o far inorridire alcuni puristi). Non ascolto solo classica, anzi! Amo moltissimo il cantautorato italiano, Ruggeri e De Andrè su tutti, ma mi piace molto rilassarmi anche con la musica caraibica e latino-americana (avendo studiato balli caraibici per 3 anni ed essendo appassionatissimo di danza).
La pandemia è stata veramente pesante anche sotto l’aspetto artistico e musicale. In particolare per chi deve suonare insieme ad altri musicisti. Cosa si potrebbe fare secondo te finché la situazione non si normalizza e pare che non sarà a breve?
Purtroppo questa pandemia, oltre che strappare via moltissime persone ai loro cari, ha creato un universo parallelo, generando una sorta di Paradosso di Schrodinger dell’arte, uno stato in cui si è vivi e morti nello stesso tempo. Questo stato di apparente quiete, di dormiveglia in cui è sprofondata l’arte, non deve essere inteso come morte clinica. L’arte è viva, ha solo bisogno di essere mantenuta tale. Tutti noi artisti dobbiamo impegnarci, in questo periodo ancora indefinito in cui si naviga, purtroppo, ancora a vista, a divulgare l’arte e renderla fruibile a tutti. Dobbiamo creare nuovo pubblico, appassionare quante più persone possibili, facendo capire loro l’importanza che l’arte ha sia per il corpo che, soprattutto, per la mente. Se si fa l’errore di considerare l’arte superflua, in quanto non generatrice di lucro, si è destinati a soccombere. Moltissimi personaggi storici, di cui oggi conosciamo il nome, devono la loro immortalità all’arte. Si pensi a Barezzi e Verdi. Il nome di una comune persona, dotata di un intelletto sopraffino e di una generosità estrema, legato per sempre al Genio di Verdi. L’arte è storia, è tradizione, è l’insieme degli usi e costumi che fanno un popolo e una nazione. E’ il messaggio e il testamento di una civiltà per i posteri. E’ la linfa dell’anima, che ci permette di bearci e riempirci di emozioni che, attraverso una fotosintesi interna, restituiamo al mondo attraverso l’amore.
Sai già se avrai concerti a Brescia ?
Non ancora… Ma il mio rapporto con il Festival è sempre ottimo e ogni volta che il Festival chiamerà io risponderò a cuore aperto.
Un sogno nel cassetto?
Diventare un grande direttore d’orchestra!!
Ultimamente in particolare hai fatto parecchie interviste. C’è qualcosa che avresti voluto dire e che nessuno ti ha mai chiesto?
La cosa che più mi preme è far sapere ai ragazzi che pensano di non farcela che non è cosi. Che credano e combattano, sempre e comunque, per il loro sogno. Che non cadano e non si facciano intimidire da chi vorrà abbatterli, ma trovino la forza di credere. Perché io non ho avuto la strada facile e non sono che all’inizio del mio percorso. Ma il sogno è più forte delle avversità!!! E’ sempre meglio sbagliare convinti che fare giusto per sbaglio.
