The Jedi Violinist

Andrea tu hai frequentato il glorioso Istituto Arici di Via Trieste a Brescia poi hai fatto un percorso artistico che ti ha portato lontanissimo “nel tempo e nello spazio”, che ricordi hai di quegli anni?
Hai ragione, l’Arici è una scuola “gloriosa”! Mio nonno ci studiò tra le due guerre e i miei ricordi incrociano i suoi racconti con la mia memoria vissuta: le aule affacciate sul grande cortile, gli scavi romani, quella atmosfera severa ma stimolante, le tante amicizie nate tra quei banchi e portate avanti nella vita, impreziosite dalla distanza di chi come me si è un po’ allontanato dalla città e dal ritrovare nel percorso tanti compagni di scuola che hanno intrapreso un percorso di vita vincente.
Pensi che i tuoi studi in qualche modo abbiano influito sulle scelte della tua vita e della tua carriera?
Assolutamente sì: il liceo classico permette di apprendere fin da subito l’importanza della cultura e della ricerca umanistica in ogni epoca e civiltà, della necessità dell’approfondimento prima di giungere a una sintesi e in questo modo di sviluppare una mentalità creativa; è stato un perfetto ambito formativo per la mia musica e, anche se sembra strano, anche per lo sport (lo sci alpino) che in quegli anni ho praticato con la stessa intensità dello studio del violino.
D’altronde la scelta della musica risale già a quegli anni. Tu hai frequentato il Conservatorio a Brescia?
Sì, ho studiato da esterno fino al 5° corso: avevo iniziato a 5 anni, poi già alle medie mi sono appassionato al pop, al rock, ad altri linguaggi musicali che mi hanno un po’ allontanato dal percorso curricolare, ma solo quelle basi classiche mi hanno permesso di padroneggiare lo strumento e per fortuna molti Conservatori dei nostri giorni riescono a far convivere meglio i diversi linguaggi rispetto a qualche anno fa.
Però a calcare un palcoscenico difficilmente si impara a scuola.
E’ in parte vero ma la scuola è il primo posto dove si imparano fatica e sacrificio, dove si soffre per essere accettati, dove si introiettano talmente tante emozioni e novità che poi la vita ti ripropone; quella continua rielaborazione per me è approdata sul palco, ma alla fine ogni vita ha il suo “palcoscenico”.
Certo che tu oggi sei un artista molto versatile, ti ho sentito cantare, suonare ma anche condurre eventi con migliaia di persone. Pochi mesi fa eri ad aprire i Mondiali di Cortina 2021. Come ti definiresti?
Sono un uomo di spettacolo che cerca di sintetizzare tutto (o quasi) nel violino; è la mia voce più caratteristica, ma la mia ricerca abbraccia tutti i media possibili e quello che mi sta più a cuore è sintonizzare la mia comunicazione artistica con i tempi in cui viviamo, capire e leggere la sensibilità del pubblico…magari anche di quello di domani!
Cos’è che fai più volentieri?
Il racconto, in senso lato, non affidandolo solo alla parola. Le mie performance sono sempre un racconto, aspiro ad essere più evocativo che descrittivo e da quello sforzo passa tutto: scelta dei temi, musica, visual, parole, gesti.
La tua musica del cuore è l’electronic dance music. Quali sono i musicisti che ti hanno ispirato di più?
Sono partito dalla grande storia del rock, David Bowie e Queen su tutti e all’interno di quella storia ho amato i grandi strumentisti: da Hendrix a Santana fino a Jean Luc Ponty. Produrre musica elettronica per me significa non porre limiti a generi e categorie, cercare di mettere a fuoco il battito e l’istinto alla base di una composizione è la base, il valore del mainstream è proprio la chance che ci si da di arrivare in molte direzioni e senza muri verso l’ascoltatore.
E lo strumento è il violino elettrico.
Il violino elettrico è semplicemente un violino con i “superpoteri”: proprio dai grandi chitarristi ho imparato che l’elaborazione elettronica del suono è una ricerca affascinante che, se approfondita ed efficace, può renderti ancora più unico e riconoscibile.
Credo sia molto stimolante per un musicista vedere il proprio pubblico che non è “inattivo” in poltrona ma scatenato in pista, o perlomeno un pubblico che interagisce.
Lo è! E la sfida più interessante, soprattutto in tempi duri per l’aggregazione “scomposta” di un club o di un festival, è portare un po’ di quel clima pieno di istinto ed energia anche nei teatri e in contesti solitamente più ingessati, proprio per far circolare al massimo le vibrazioni.
Il tuo amico Nicola Bianco Speroni dice con ammirazione che oltre ad essere “un animale da palcoscenico sei anche un animale della notte”! E’ il ricordo delle interminabili notti estive nei locali della Costa Smeralda o c’è del vero?
C’è del vero e ne vado fiero! Chiunque viva la notte in maniera professionale sa che in quella libertà, in quella bolla tra le giornate, in quegli spazi aperti di socialità gli uomini si rivelano per quello che sono, si conoscono, spesso crescono, e quindi “la notte” e il suo mondo sono importanti non solo per gli artisti ma hanno una preziosa funzione sociale.
Hai percepito differenze nel pubblico che hai incontrato nei tuoi tour senza confini? So che hai suonato a Dubai e Beirut, nei paesi dell’Est, nelle isole Seychelles e Mauritius e in tante capitali europee.
Come in tanti settori anche in quello musicale gli italiani all’estero “vanno sempre di moda”. Davvero siamo portatori di uno spirito positivo che ci precede, un’ammirazione tradizionale che siamo chiamati a confermare. Ho suonato in 28 nazioni e ogni volta, andare e tornare, arricchiscono la mia umanità e la mia arte.
Oggi il tema ricorrente è quello della “transizione ecologica”, in realtà tu hai sempre cercato di costruire un rapporto stretto tra produzione artistica e ambiente naturale. Cos’è e cosa significa per te la natura?
Beh da buon bresciano sono cresciuto in montagna e lì ho imparato il rispetto per la natura e l’importanza del contatto continuo con essa. Viviamo in un’epoca in cui ciascuno di noi è chiamato a fare la sua piccola parte verso una modalità sostenibile di “usare” il nostro pianeta, quindi come musicista e story-teller uno dei miei ruoli e prestarmi a tenere sempre accesa l’attenzione su questo snodo cruciale della storia.
Ci hai abituato a progetti artistici sempre molto originali, ricordo “The Space Violin Project”.
The Space Violin Project è ancora a metà, un progetto ambizioso in cui un racconto fantascientifico a puntate si fonde con nuove canzoni, collaborazioni e creazioni visive. Sono molto felice di questa piccola grande saga che sta crescendo con me e ne sentirete ancora parlare.
Ora a cosa stai lavorando?
In questi mesi sono concentrato sulle nuove produzioni ma soprattutto sull’adattamento del mio live agli spazi teatrali più grandi e prestigiosi: il 30 aprile 2022 debutterò all’Auditorium Parco della Musica di Roma con il mio Visual Concert e spero ne seguirà un lungo tour che mi porterà presto anche a Brescia.
Di soddisfazioni e riconoscimenti ne hai avuti tanti, hai vinto anche il “Dance Music Award”. Hai qualche altro sogno?
Il mio sogno più grande è di diventare un ambasciatore sempre più conosciuto e credibile della musica come linguaggio universale, raggiungere più persone possibili con messaggi positivi e far sapere ai ragazzi che studiare uno strumento è bello e da senso anche quando resta solo una passione. Sogno che la musica sia sempre più un antidoto ai danni dei tempi.
C’è un messaggio, qualcosa che vorresti dire ai tuoi fans bresciani?
Che anche se sono spesso lontano, porto la mia città nel cuore e lavoro continuamente perché Brescia e i Bresciani esprimano il loro valore nel mondo: credo per esempio tantissimo nello sviluppo turistico. Proprio dall’esterno (in questi quasi 20 a Roma) l’ho vista rinnovarsi e soffrire, migliorare e affrontare le sfide dei tempi. E’ una città che ogni tanto si sottovaluta e a me piace immaginarla sempre combattiva e sulla cresta dell’onda, la nostra Leonessa; spero di meritare sempre più uno spazio tra gli artisti nel cuore dei bresciani!