Museo di Santa Giulia, fino al 13 Gennaio 2022.

Presenti a Brescia la tua prima personale “La Cina (non) è vicina”, perché la scelta di questo titolo?
Inizialmente mi sono ispirato al titolo di un vecchio film italiano del 1967, la “Cina è vicina”, mi sembrava il modo per stabilire un primo contatto con l’Italia, anche se non penso che il titolo di una mostra rivesta un ruolo particolare. D’altro canto ritengo che questo gioco di parole dimostri che una cosa, o una questione, possa avere diversi aspetti che la avvicinano da un certo punto di vista, mentre la allontanano dall’altro; in questo caso la Cina può essere molto vicina e altrettanto lontana dall’Europa e dall’Italia.
Naturalmente, come dico sempre, all’artista non spetta il compito di trovare soluzioni, bensì di porre degli interrogativi che portino alla luce problematiche o realtà del suo tempo. Risolvere i problemi è un lavoro che spetta ai politici e ai governanti, mentre gli artisti devono osservare la società, la politica e porre dei quesiti per spingere le persone a pensare, riflettere sulla vita, i rapporti, le relazioni, la giustizia sociale e via dicendo.
La domanda che apparentemente si fa in questa mostra è dunque se la Cina sia o meno vicina… dal punto di vista commerciale, per quanto riguarda i beni e i prodotti, alcune aziende e la manodopera la Cina intrattiene rapporti stretti con l’Italia e il resto del mondo. Per converso la Cina è lontana anni luce rispetto allo stile di governo, in particolare, per quanto riguarda la democrazia che non è contemplata in nessun ambiente, anche i diritti più elementari non sono rispettati!
La tua prima mostra in Europa, per quale motivo hai scelto Brescia?
È stata un’occasione…
Sarebbe grandioso poter scegliere sempre! Sorride. La realtà è che Brescia ha scelto me e per questo motivo mi sento davvero felice e onorato, penso sia un grande privilegio. Oggi gli artisti hanno gravi difficoltà a fare delle mostre, specie quando si occupano di politica, ingiustizie e naturalmente nel mio caso, in un regime, diventa impossibile e persino rischioso. Negli scorsi anni ho provato ad organizzare una mostra a Hong Kong, ma non sono mai riuscito, l’ultima è stata cancellata. In Australia, che oggi è la mia seconda casa, vale lo stesso perché sia le Gallerie che le Istituzioni sono molto spaventate dal Governo cinese; non mi riferisco alla popolazione cinese, bensì al regime. Brescia in questo senso ha avuto il coraggio di ospitare la mia mostra: la passione per l’arte e la libertà di esprimerla sono state un’opportunità unica e imperdibile per me. La curatrice, Elettra Stamboulis, mi ha trovato attraverso i social media che hanno fatto da ponte per connettermi con Brescia e il suo Festival della Pace in Santa Giulia.
Vieni definito “un artista dissidente”, quanto ti ritrovi in questa definizione?
Penso che “dissidente” sia una parola interessante, anche se non sono un grande sostenitore di questo termine. In realtà l’identità che sento più mia è quella di artista, ciò che desidero essere, tuttavia quando nasci e cresci in un Paese che è sottomesso ad un regime e tu sei una voce fuori dal coro diventi necessariamente un dissidente. Non è stata una mia scelta!
Questo aggettivo significa “essere contro a qualcosa”, ma più che avere un’accezione negativa, penso indichi il ruolo passivo di chi non può fare altro che essere dissidente per esprimere se stesso, è una risposta alle oppressioni e alle ingiustizie. Io preferisco definirmi un difensore dei diritti umani: con la mia arte difendo e sostengo dei valori che celebro come giusti e imprescindibili.
“Badiucao” non è il tuo vero nome, ma uno pseudonimo. Cosa significa?
A dire il vero è un nome che risale a prima che io iniziassi la mia arte, diciamo politica. Successivamente, quando ho capito che essere un artista poteva essere pericoloso, ho pensato di nascondere il mio vero nome per evitare rischi e ritorsioni anche nei confronti della mia famiglia.
Come è nato questo pseudonimo?
Bella domanda.
Sorride.
Conosci il Dadaismo? Un movimento artistico nato all’inizio del XX secolo con l’obiettivo di purificare l’arte e le opere letterarie fino a quel momento assoggettate alle convenzioni. I manifesti dadaisti riportavano parole sconnesse, frasi disarticolate senza un significato preciso e giocando sui suoni. Gli artisti e i poeti componevano testi e poesie scegliendo delle parole a caso da un libro…
Il mio pseudonimo è stato creato in un modo molto simile; un giorno ho deciso di aprire un libro e scegliere dei caratteri cinesi e così è nato “Ba – Diu – Cao” che si pronuncia “Ba – Diuu – Tsao”.
A proposito di questo ci tengo a precisare che non mi sono mai immaginato come una persona speciale o come un eroe, sono una semplice persona che ama comunicare attraverso i social media con la sua arte. Spesso le persone idealizzano qualcuno, amano creare e celebrare gli eroi, lo vediamo nei fumetti, eppure nessuno vorrebbe esserlo perché è troppo pericoloso e distante dalla vita ordinaria e quotidiana.
Il tuo messaggio è forte e dirompente. Credi sia un esempio per dare coraggio ai giovani, alle generazioni future?
Diciamo che mi ritengo un pò in coda alle nuove generazioni, sono nato nel 1986 e mi sento abbastanza giovane. Sorride. Per quanto mi riguarda penso che sia molto importante rispettare le nuove generazioni, ma più che essere un esempio desidero essere in qualche modo ispirato, interagire e scambiare idee con loro. Penso che sia molto importante restare uniti e portare avanti gli obiettivi che interessano l’umanità nella sua accezione più ampia; come i problemi del Pianeta, le discriminazioni sociali, la repressione e via dicendo. Comunicare è senza dubbio l’aspetto più la importante del mio mestiere. In questo senso l’arte rappresenta un ponte tra le questioni importanti ed esistenziali e il mondo dei giovani con le loro peculiarità e il linguaggio moderno. Ogni mezzo di comunicazione ha la sua modalità per essere utilizzato al fine di diffondere messaggi nella forma più comprensibile da ciascuno.
A proposito di social media, che tu utilizzi moltissimo per comunicare, quanto è importante oggi essere interconnessi con il resto del mondo?
La mia galleria è online, sui social media, e non è esclusivamente il mio studio ma anche la mia fonte d’ispirazione. In tal senso Internet e i social sono fondamentali per mantenere i contatti con le persone che vivono in Cina innanzitutto e poi con tutti i cittadini del mondo. Oggi vivo in Australia, come potrei fare il mio lavoro in modo sincero e autentico se non avessi comunicazioni dirette? In particolare ho contatti costanti con persone residenti in Cina che mi aggiornano e mi inviano informazioni dirette. Internet rende possibile questo scambio che ritengo straordinario e incredibile allo stesso tempo. Per contro ci sono dei problemi legati alle manipolazioni perpetrate attraverso l’utilizzo e la distorsione della comunicazione sui social nel mondo, ma questa è tutt’altra storia.
Laureato in Legge, il tuo percorso iniziale segue tutt’altri canali. Quando hai deciso di dedicarti all’arte come mezzo di espressione?
Credo di aver iniziato il mio percorso di studi in Legge per passione. Potrebbe sembrare un pò assurdo studiare Legge in Cina, dove non esiste certo un giudizio indipendente, tuttavia ci sono molti docenti bravi che mi hanno insegnato a capire quali sono i diritti fondamentali delle persone, come dovrebbe essere la società rispetto a quella esistente da noi. Ho imparato a pensare e ragionare e credo non sia poco! Detto questo ho capito ben presto che non desideravo fare l’avvocato o essere un giudice nella mia vita, ma preferivo esprimere le mie idee attraverso un altro linguaggio, quello dell’arte.
Perché l’arte e dove hai imparato a disegnare e utilizzare i programmi di grafica?
Io amo l’arte da sempre, già da ragazzino avevo delle abilità evidenti, mio nonno a sua volta è un artista. La mia famiglia mi ha sempre supportato e incoraggiato a perseguire le mie attitudini in ambito artistico, è stato fondamentale ricevere un’educazione libera; mi hanno insegnato a credere fortemente nelle mie capacità e a pensare che avrei potuto diventare tutto ciò che volevo.
Successivamente, quando mi sono trasferito a vivere in Australia, ho fatto alcuni studi, dei corsi non certo in Accademia, ma ho apprezzato l’aiuto di alcuni amici che mi hanno insegnato come perfezionare i miei lavori di grafica e sui social. Per quanto riguarda la mia arte penso che sia molto importante riuscire a raggiungere il cuore delle persone in modo chiaro e diretto, senza la necessità di dover ricorrere a qualcuno per spiegare le opere. Un artista che risulta incomprensibile al pubblico penso sinceramente che abbia fallito il suo obiettivo. L’arte è prima di tutto comunicazione e trasmissione di messaggi, idee e valori; la mia arte è vera, pratica e non deve vivere in un universo astratto e incomprensibile.
Sei impegnato in molte questioni politiche e sociali. Come decidi i soggetti delle tue opere, con quale criterio scegli a cosa dedicarti?
Come artista, ma prima di tutto come uomo, esistono questioni che sento fisiologicamente più vicine a me e al mio modo di sentire. Questa spinta emotiva mi dà la motivazione e la passione che mi consentono di buttarmi ogni volta in un nuovo viaggio, un lavoro, un’avventura. Così, ogni mattina, dopo essermi alzato, la prima cosa che faccio non è lavarmi denti, fare colazione o bere un caffè, bensì connettermi a Twitter per vedere le notizie e decidere cosa fare quel giorno. Naturalmente non guardo soltanto notizie che riguardano la Cina, leggo cos’è accaduto nel mondo e scelgo di seguire ciò che per me ha più potenziale.
Alcune volte scelgo ciò che reputo più importante, qualcosa di cui la gente parlerà perché coinvolge molti individui. Viceversa talvolta racconto qualcosa perché diversamente non se ne parlerebbe perché magari è insignificante dal punto di vista economico, seppur fondamentale dal punto di vista umano. Quindi, in generale, il mio criterio per la scelta degli argomenti da trattare dipende sempre dall’importanza che rivestono a livello umano. È fondamentale dare voce alla sofferenza delle persone, specialmente quando non hanno la possibilità di esprimersi e raccontare la loro storia.
La Cina (non) è vicina terminerà a febbraio, quali sono i tuoi impegni futuri?
Innanzitutto penso che Brescia mi abbia dato una grande opportunità e spero che possa essere di esempio e d’ispirazione con la sua grande forza e libertà espressiva.
Questa è la mia prima mostra in Europa e spero non sarà l’ultima! Sorride. Progetti futuri? Ne ho sempre molti, ma prima di tutto vorrei cambiare un po’ il mio modo di comunicare dedicandomi alla pubblicazione di una sorta di diario che riporti l’esperienza di persone ordinarie, una spiegazione del modo di vivere delle persone in Cina.
Diciamo un libro per conoscere la Cina di oggi attraverso i racconti di quanti la vivono ogni giorno. Da tempo desidero dedicarmi al fumetto, alla graphic novel… al momento non voglio limitare me stesso precludendomi le opportunità più diverse, compreso il desiderio di esplorare nuovi territori comunicativi.
Scrive Paola Rivetta