Parliamone con Nicola Bianco Speroni
“La cultura è una grande ricchezza. Nasce dalla vita, dalla comunità, dalla natura che la ospita, e poi ritorna alle persone, alle generazioni successive, come linfa, come civiltà, come genio e valore. La cultura non è un ambito separato dell’attività umana, quasi un suo sovrappiù. È il sapere conquistato dall’esperienza. È il pensiero che si costruisce nello studio, nel confronto, nella ricerca, nel lavoro. È l’emozione del rappresentare la vita, è un arricchimento dei valori che caratterizzano l’umanità. Brescia e Bergamo ne sono un esempio con le loro virtù civiche di ieri e d’oggi.”
Sergio Mattarella al Teatro Grande il 20 gennaio 2023

Il Presidente Mattarella ha inaugurato l’anno di “Bergamo Brescia 2023” Capitale Italiana della Cultura delineando una definizione molto ampia di cultura.
A me piace molto. Questa definizione di cultura ci consente di comprendere il legame essenziale che la lega alla natura umana, che non costituisce un oggetto statico, definito una volta per tutte, ma è una realtà dinamica in continua trasformazione. L’evoluzione storica della cultura si intreccia con la pluralità delle culture che sono cresciute nelle diverse parti del mondo e il rapido sviluppo delle comunicazioni ci mette continuamente in contatto con realtà umane (e dunque culturali) diverse dalla nostra. Nell’attuale cambiamento d’epoca, gli strumenti della cultura diventano sempre più complessi e costringono a confrontarsi con il progresso rapidissimo della tecnologia, che ormai è un dato culturale ineludibile. Ma all’origine e al centro di qualsiasi processo culturale c’è sempre l’uomo e non i suoi prodotti, per quanto evoluti possano essere. Il confronto e il dialogo possono consentire di comprendere l’identità e la varietà delle culture. Un dialogo che, per essere efficace, deve avere come punto di partenza l’intima consapevolezza della specifica identità dei vari interlocutori. Ogni cultura è ricca di contenuti, linguaggi, prodotti, che ognuno deve imparare a conoscere, vagliare e apprezzare.
Possiamo dire che il percorso della cultura è legato a quello dell’educazione?
Certamente. La crescita culturale è insieme crescita umana e questo la rende strettamente legata all’educazione. La cultura non è fine a se stessa: essa è anche la via per una capacità di dedizione all’altro e al bene comune. Fare cultura, infatti, significa tutelare la sapienza, cioè un sapere umano e umanizzante. Contro una pseudocultura che riduce l’uomo a scarto, la ricerca a interesse e la scienza a tecnica, dobbiamo proporre una cultura a misura d’uomo, una ricerca che riconosce i meriti e premia i sacrifici, una tecnica che non si piega a scopi mercantili, uno sviluppo dove non tutto quello che è comodo è lecito.
Quindi un ruolo fondamentale è quello della scuola.
Credo che siamo tutti d’accordo che dopo la famiglia – o quando la famiglia non è in grado di farlo – a questo compito offre un contributo fondamentale la scuola, cui spetta il ruolo insostituibile di mettere le persone a contatto con i significati profondi del vivere, offrire strumenti di interpretazione critica della realtà e favorire l’appropriazione e la rielaborazione del patrimonio culturale. La scuola però si trova oggi ad affrontare una sfida molto complessa, che riguarda la sua stessa identità e i suoi obiettivi, perché deve essere in grado contemporaneamente di trasmettere il patrimonio culturale elaborato nel passato, ma anche di aiutare a leggere il presente e far acquisire le competenze per costruire il futuro, concorrendo, mediante lo studio e la formazione di una coscienza critica, alla formazione del cittadino e alla crescita del senso del bene comune.
Un obiettivo che va oltre l’idea della formazione tout court.
Nelle aule non si trasmettono solo conoscenze, ma valori che siano bussola di riferimento. Insegnando a lavorare insieme, si costruisce l’appartenenza alla comunità; studiando il passato, si abilita a interpretare gli eventi del proprio tempo; aiutando ciascuno a riconoscere e coltivare i propri talenti, si investe in un capitale di competenza, novità, fiducia. La scuola è un ambiente fondamentale per la formazione della persona e per la qualità umana della società. Il crescente pluralismo pone al centro dell’opera educativa obiettivi quali il riconoscimento della dignità dell’altro, il discernimento critico, la promozione di una cultura dell’incontro e del vivere insieme.
Lei è stato molti anni Presidente dell’Associazione Ex Alunni del glorioso Istituto Cesare Arici, avviato dai Gesuiti e attualmente gestito dalla Diocesi di Brescia.
La scuola cattolica e i centri di formazione professionale d’ispirazione cristiana fanno parte a pieno titolo del sistema nazionale di istruzione e formazione. Nel rispetto delle norme comuni a tutte le scuole, hanno il compito di sviluppare una proposta pedagogica e culturale di qualità, radicata nei valori educativi ispirati al Vangelo. Credo sia proprio un valore costitutivo della scuola cattolica l’idea che il fine è molto di più che fornire delle conoscenze: l’obiettivo è quello di dare ad ogni studente la possibilità di maturare nella comprensione del mondo e di se stesso, di crescere con gli altri e diventare migliore, più consapevolmente uomo o donna. Imparare vuol dire crescere, diventare migliori. Il termine “scuola” deriva dal greco scholè che significa ozio. In questo caso è il tempo che si dedica a ciò che è ritenuto più amabile, desiderabile e degno dell’uomo stesso. La scuola affonda le sue radici nell’amore del sapere e della vita.
Quindi secondo lei cosa dovrebbe fare la scuola per assolvere al meglio al suo ruolo culturale.
Abbiamo già detto che l’obiettivo dovrebbe essere quello di mettere le persone a contatto con i significati profondi del vivere, offrire loro strumenti di interpretazione critica della realtà e favorire l’appropriazione del patrimonio culturale e la sua rielaborazione nell’oggi. Fare questo non è facile e non credo ci siano ricette pronte. A me viene in mente innanzitutto un atteggiamento da parte degli educatori, percè aiutare coloro che stanno crescendo a mettere radici profonde è un vero atto d’amore nei loro confronti, in vista delle scelte che sono chiamati a compiere e ciò può avvenire soprattutto nell’incontro tra le generazioni. L’educatore ha una missione piena di ostacoli ma anche di gioie, ma deve aver chiaro che si tratta innanzitutto di una missione. Una missione di amore, perché non si può insegnare senza amare e senza la consapevolezza che ciò che si dona è solo un diritto che si riconosce, quello di imparare. Da insegnare ci sono tante cose, ma quella essenziale è la crescita di una coscienza libera, capace di confrontarsi con la realtà e di orientarsi in essa guidata dall’amore, dalla voglia di compromettersi con gli altri, di farsi carico delle loro fatiche e ferite, di rifuggire da ogni egoismo per servire il bene comune.