Auditorium del Museo di Santa Giulia
Lectio Magistralis – 22 ottobre 2023
“David La Chapelle per Giacomo Ceruti. Nomad in a Beautiful Land” è il progetto che la Pinacoteca Tosio Martinengo e Fondazione Brescia Musei hanno dedicato alla rappresentazione contemporanea dei temi della marginalità, un’emarginazione che il nostro Giacomo Ceruti aveva magnificato nei suoi lavori trecento anni fa; gli stessi lavori e le stesse opere che sono attualmente al J.P. Getty Museum di Los Angeles nella mostra “A compassionate Eye” curata da Davide Gasparotto e promossa da Brescia Musei e Getty Center.

Un progetto in cui la nostra grande storia pittorica del pauperismo di Ceruti viene attualizzata e raccontata attraverso lo sguardo di David La Chapelle, proprio nel momento in cui Ceruti illustra le glorie della pittura lombarda e bresciana a Los Angeles. Uno scambio nel quale questo grande fotografo contemporaneo, maestro dell’immagine pop, racconta con un’opera realizzata ad hoc per Brescia, la marginalità contemporanea, quella degli homeless, i più emarginati nelle metropoli americane e proprio a Los Angeles. Una fotografia di grandi contrasti, per un progetto contrastato in cui Ceruti ci parla con uno sguardo compassionevole sulla miseria, sulla cultura del lavoro. David La Chapelle arriva a Brescia oggi per raccontarci la grande operazione dedicata agli stessi soggetti della pittura di Ceruti trecento anni dopo alla Pinacoteca Tosio Martinengo. Stefano Karadjov, Direttore della Fondazione Brescia Musei
Nell’anno che ha visto Brescia Capitale Italiana della Cultura 2023, con la città di Bergamo, credo si possa concordare tutti che l’incontro con David La Chapelle rappresenti un grande omaggio a Giacomo Cerruti, che abbiamo voluto celebrare con la mostra “David La Chapelle per Giacomo Ceruti. Nomad in a Beautiful Land”. Un’occasione che ci ha mostrato come i temi cerutiani siano argomenti totalmente contemporanei, così come i lavori di David La Chapelle; un accostamento forte nella sua originalità, una connessione di grandissima potenza evocativa. Aggiungo che la mostra di Ceruti in questo momento è a Los Angeles e sta ricevendo dei risultati impressionanti a dimostrazione che l’idea di portare questo grande artista al di fuori dei confini nazionali, sia stato il modo migliore per omaggiarlo e proporlo all’attenzione mondiale. Voglio dire grazie a quanti hanno collaborato alla realizzazione di questo ambizioso progetto e soprattutto a David per come ha saputo interpretare questo importante richiamo ricevuto dalla nostra città. Francesca Bazoli, Presidente della Fondazione Brescia Musei
Direttore Karadjov, quale la motivazione che ha spinto Fondazione Brescia Musei a contattare un grande fotografo contemporaneo come David La Chapelle per affiancare l’opera settecentesca di Giacomo Ceruti? In realtà, più che sull’artista, abbiamo ragionato su quelli che potevano essere i grandi temi legati alla pittura del Ceruti ovvero la pittura degli emarginati, nell’anno in cui Brescia si lancia a parlare di crescere insieme, perché questo era il tema nell’anno della nostra cultura. Abbiamo pensato ci volesse uno sguardo contemporaneo, un artista contemporaneo, un grande artista che riuscisse in sei mesi a pensare ad un’opera geniale, la fotografia. Chi chiamare? Cinque secondi e praticamente all’unisono, io e la Dott.ssa D’Adda, ci siamo detti David La Chapelle! Losangelino, attento alle tematiche sociali, per non dire anche profondamente e visceralmente turbato dai problemi del nostro tempo e iper espressionista, come Cerruti a suo modo. Ho contattato subito Denis Curti, il curatore di David La Chapelle per Giacomo Cerruti, con cui avevo fatto un’altra bellissima mostra di David a Venezia e da lì è iniziato un lungo scambio di lettere. Abbiamo scoperto che David conosceva e amava la pittura del ‘700, in particolare conosceva Ceruti, un vero colpo al cuore. Un grande progetto.

Denis Curti, curatore di moltissime mostre e rassegne fotografiche, autore di libri sulla fotografia e curatore della mostra “David La Chapelle per Giacomo Ceruti”. Cosa puoi raccontarci della fotografia di David La Chapelle? David è veramente una fonte inesauribile di creatività! Insieme abbiamo lavorato a molti progetti meravigliosi così come questo, per cui ha creato un’opera ad hoc, affiancata alla serie “Jesus is my homeboy” che generosamente David ha prestato alla Pinacoteca Tosio Martinengo. Il percorso che avevamo immaginato con il Direttore Karadjov intendeva sottolineare l’attenzione di David La Chapelle verso gli homeless, verso gli ultimi. Nella sequenza esposta in Pinacoteca, che risale ad alcuni anni fa, si è immaginato dove sarebbe potuto stare Gesù se fosse sceso sulla terra, probabilmente con gli ultimi, quindi ha rappresentato questa storia. Questo ci dice che la fotografia di David La Chapelle è una fotografia di ricostruzione, una fotografia di riferimenti culturali. Tutto quanto, tutto ciò che si vede nelle sue fotografie è frutto di una regia, una ricostruzione di particolari, a volte di miniature piccolissime che poi fa esplodere in formati incredibili, a volte di ricostruzioni molto impegnative, fatte con il miniaturista del Titanic, giusto per citare uno dei professionisti che lavorano con David. Al di là delle vicende tecniche che comunque importano, perché ci fanno capire come guardare le fotografie di David, ad un primo sguardo superficiale sembra che sia tutto Photoshop, ma non è così. Ogni cosa, ogni oggetto o persona è pensato. Si tratta di una fotografia che nei pensieri è impressionista, ma anche un pò surrealista; lui è sicuramente un fotografo che ci chiede di completare le opere che esso stesso produce. Difronte alle sue fotografie è come se fossimo al cinema, a teatro, siamo davanti ad una finzione, una messa in scena e questo David lo sa bene. Dobbiamo solo lasciarci coinvolgere, dobbiamo capire come questa fotografia è nata e perché è nata, perché è stata ricostruita anche se questa come altre immagini hanno una forte relazione con la realtà.
David La Chapelle si racconta con un’intervista a Denis Curti
Ci puoi raccontare com’è andato questo progetto, io ti ho telefonato, ti ho scritto, ti ho invitato a riflettere su Ceruti, all’inizio eri un pò titubante però mi avevi detto di conoscere questo pittore…. Conoscevi Ceruti, lo hai studiato e solo alla fine, dopo un pò di tempo, hai accettato. Probabilmente quando è arrivata la formulazione di un’idea precisa. Sono stato veramente entusiasta quando ho ricevuto questa chiamata che ho visto come una grande opportunità per me. Poi ho iniziato a pensare, il mio cervello si è messo in moto, e mi sono chiesto se fosse il caso di fare una sorta di reportage tipo presentazione giornalistica sulla situazione degli homeless. Io sono un tipo intuitivo e ho iniziato a pensare subito, poi mi sono lasciato andare e tutto è venuto da sé… Ho iniziato ad andare in giro, sono passate le settimane, e un giorno mi trovavo in automobile dietro al museo ed ecco queste tende, queste palme, questo meraviglioso paesaggio di Los Angeles che mi ha colpito. Appena ho lasciato correre, l’immagine si è presentata a me. In America, in California a Los Angeles abbiamo questo enorme contrasto tra quelli che vivono in strada da un lato e dall’altro lato l’attitudine costante a dare un giudizio in base a quello che hai e che indossi. Abbiamo questi grandi brand, queste ville enormi, una grande passione per le automobili e questo è un mondo in cui è difficile vivere per gente come me.
Sempre parlando dell’opera “Gated Community”, è curioso raccontare come decidesti di ricostruire queste atmosfere nel tuo studio… Le tende erano già lì ad aspettarmi, ma non volevo disturbare chi ci abitava. Poi in America c’è la questione di questa gente che vive nelle tende non tanto perché non ci siano delle case, ma piuttosto perché si viene a creare una comunità, una comunità anche di persone legate dalla tossico dipendenza. Io penso che spesso abbiano un maggiore senso di comunità queste persone nelle tendopoli, piuttosto che i ricchi nelle grandi ville di Beverly Hills. Tornando a noi, non volevo disturbare nessuno, non volevo che queste persone si sentissero in alcun modo sfruttate o violate, pertanto è stata creata nel mio studio questa scena, abbiamo realizzato queste tende e successivamente una sovrapposizione a livello di immagine.
Arrivi da Firenze dove hai ricevuto un Premio dalla Biennale, puoi raccontarci qualcosa di questa bellissima esperienza, di questo riconoscimento importante? Si tratta del mio ultimo progetto, quello fiorentino legato alle stazioni della croce. Una rappresentazione che spesso si vede nelle Chiese: queste 14, a volte 15 stazioni, che ho studiato per capire quale fosse il loro significato. E poi volevo appunto scegliere, fare un cast per definire chi avrebbe interpretato Gesù e l’ho ritrovato nel volto mediterraneo di un giovane. Ricordo che mi trovavo alle Hawaii ed ero sconvolto, non sapevo chi potesse interpretare Cristo. Ricevetti una chiamata da un rapper, si chiamava Tedua. Io cercavo questo profilo che potesse interpretare Cristo, cercavo un profilo Nazareno, con una fisicità importante chiaramente, dovendo andare a rappresentare questa figura importante. Così ci siamo visti in conference, su zoom. L’ho visto, con questi occhi, mi sembrava la persona giusta… non eccessivo, niente tatuaggi e gliela buttai lì: perché non facciamo questo progetto artistico insieme? Lui mi rispose: parliamone! Peraltro un rapper italiano che è soprannominato il poeta in Italia, un ottimo soprannome proprio perché, anche nel nostro caso, seppe entrare nella parte, seppe rappresentare fisicamente il Cristo tanto che iniziò a digiunare e andò anche in astensione dal vino, per entrare nella fisicità del Cristo. La persona giusta anche dal punto di vista emotivo, lacrimava, era davvero quello giusto… Peraltro lui, come altri personaggi noti, ha potuto stabilire un dialogo con il suo pubblico e di fatto per me l’opera è finita quando raggiunge la gente, e la gente risponde.
In questo periodo, da quando hai ricevuto questo importante premio dalla Biennale di Firenze, abbiamo letto numerose interviste in cui è stata data molta visibilità alla tua mostra e al tuo arrivo. Forse per comodità, per leggerezza e velocità si fa coincidere con una tua visita a Roma, alla cappella Sistina, la nascita della tua spiritualità, quando vedi questo incredibile capolavoro e ne rimani sconvolto, da lì inizia un nuovo percorso. In realtà mi raccontavi che questa vicinanza, questa attenzione alla religione e alla spiritualità ti è sempre appartenuta, è sempre stata con te e poi ad un certo punto della tua vita hai deciso di prestare molta più attenzione. Dove inizia la tua storia, ci puoi raccontare qualcosa? Andy Warhol è stato il mio eroe e quindi avere l’opportunità di lavorare con lui, quest’icona della cultura pop, a New York, in quel tempo è stato il mio primo vero lavoro ed è stato impressionante. Ho realizzato per lui un’opera, proprio prima della sua morte, sono due bibbie che rappresentavano la sua passione, pensa che andava in Chiesa tutte le domeniche.
Ci confermi questa visione della Cappella Sistina che ha un pò cambiato il tuo modo di produrre immagini? Andai a Roma negli anni ‘80, era peraltro ottobre, giusto in questo periodo dell’anno e c’erano pochi turisti. Mi trovai immerso e rapito in questo spazio enorme, peraltro il mio artista preferito. Fui catturato dal sublime che mi atterrò quasi; pensare che se questo è stato l’effetto che ho avuto su di me, che sono abituato anche ai media, quest’esposizione con le notizie, la cinematografia e la teatralità, immaginiamo quanto abbia potuto essere forte questo spettacolo per le persone di quel tempo che letteralmente magari cadevano svenute terra. Credo che questo sia il potere dell’arte, un’arte che mi ha rapito fin da quando ero bambino; io ho sempre detto “voglio fare l’artista”, sin da quando avevo cinque anni e Michelangelo era ed è il mio artista preferito in questo Rinascimento italiano, dove troviamo spesso profili angelicati, leggeri, mentre lui invece è una drammaticità potente con gestualità importanti, capelli strappati dal vento e quindi un sapore forte che mi ha colpito sempre tantissimo.
Un altro dei temi che ti è molto caro, oltre a quello della religione e della spiritualità, è il cambiamento climatico. La tua attenzione all’inquinamento ha prodotto una serie molto importante “Landscape”. Come nascono queste fotografie e come le hai prodotte? Queste immagini non sono frutto di un’improvvisazione, non é solo creatività, ma è parte di un percorso preciso… Il Cristo con la sua nascita ha determinato un momento cruciale nel nostra storia umana, infatti si parla di avanti Cristo e dopo Cristo. Più avanti si colloca la rivoluzione industriale, un altro momento cruciale nella storia umana; un periodo che ha innescato una profonda accelerazione. Tutto è diventato veloce; pensiamo alla crescita demografica in seguito al periodo industriale… la mia domanda all’osservatore è: alla fine, questa velocità, dove ci ha portato? Rispondo direttamente io: alla crisi che viviamo oggi.