Fabio Testi, fascino eterno

Un attore deve sentirsi amato, è per questo che fa l’attore.  Pirandello diceva che “è un eccesso di bisogno d’amore”.  Dopo uno spettacolo gli applausi ti appagano,  ti riempiono il cuore, gratificano questo eccesso  di bisogno d’amore e l’attore  non ne ha mai abbastanza… 

Immagini di Roberto Cavalli

Un esordio da controfigura e poi il destino ti ha offerto una scelta. Come è iniziata la  tua carriera?

Io sono di Peschiera del Garda e, al tempo, sul lago, avevano costruito dei galeoni sui gusci dei battelli vecchi e noi ragazzini, a quattordici, quindici anni facevamo da comparse, da controfigure, per guadagnare qualcosa durante l’estate. C’era lavoro per tutti; si facevano circa 360 film all’anno, quasi uno al giorno. Il gruppo degli acrobati veniva da Roma e così, conoscendoli, decisi di trasferirmi a Roma per continuare e proprio nella grande capitale italiana del cinema ebbi la mia prima vera opportunità. Un produttore con cui lavorai come stuntman mi disse: “tu sarai il protagonista del mio prossimo film”. Io risposi di sì, ma a condizione di fare anche tutte le cadute e lui accettò. Sorride. In quel film feci di tutto, un giorno mi ammazzai per ben dodici volte cadendo dal tetto, dalle scale, a cavallo, mi sparai… Il risultato fu davvero entusiasmante; il doppiaggio, la musica, i colori e quindi decisi di dedicarmi seriamente alla recitazione. Vittorio De Sica venne a farci i provini, gli esami, al secondo anno di Accademia e in quel periodo doveva girare il film “Il giardino dei Finzi Contini” in italiano e c’era Lino Capolichio, Camillo Cesarei e delle attrici straniere. Ai tempi lo Stato italiano assegnava dei premi governativi se almeno la metà del cast era italiano e De Sica volle un italiano, scelse me. La mia carriera iniziò così, con un grande regista e un film che vinse un Oscar come miglior film straniero, era il 1972. 

Non avevi mai pensato di fare l’attore?

Onestamente non pensavo fosse la mia strada. Io volevo fare l’architetto, tempo fa feci due, tre alberghi a Peschiera… ma ammetto che fare la controfigura mi piacque subito; ero sportivo e in più ero sempre a contatto con gli artisti che mi coccolavano perché ero la loro controfigura, mi trattavano bene perché facessi fare loro una bella figura e io mi divertivo un mondo. E poi un giorno pensai che avrei potuto farlo anch’io, conoscendo gli attori così da vicino capii che se ci riuscivano loro avrei potuto fare la stessa cosa. È stato un periodo divertente ma allo stesso tempo particolare, quasi inverosimile.

Oltre cento film all’attivo, serie televisive, programmi, spettacoli. Che differenza c’è fra il teatro e il cinema… 

Direi che la differenza è veramente enorme. I vecchi attori teatrali sostengono che il teatro sia il massimo della recitazione, mentre gli attori cinematografici dicono l’esatto contrario. Per me il teatro rappresenta la libertà di muoversi su un palcoscenico dove puoi “allargare le braccia e abbracciare il tuo pubblico”, nel cinema invece sei limitato al carrello della macchina da presa che inquadra piccoli movimenti. Ad esempio devi prendere la luce senza aprire troppo gli occhi perché sono stretti con lo zoom; quando reciti una battuta magari ti viene da allargare lo sguardo, ma non puoi. C’è una tecnica che comanda di cui sei in qualche modo schiavo, ma allo stesso tempo la devi gestire. Devi saperti governare in funzione della tecnica con il cinema, mentre il teatro è espressionismo puro e creatività!

Come fanno gli attori, specie a teatro, a ricordare copioni lunghissimi?

É questione di allenamento e poi esistono degli stratagemmi, ognuno ha i suoi dal punto di vista anche tecnico. La memoria é come un muscolo, lo alleni in continuazione finché arrivi ad un certo livello, così come accade per la voce; se fai un mese di prove, prima di andare in scena, la corda vocale cambia, più ti alleni e più esce la sonorità, le frequenze della voce cambiano. Per ricordare fai delle prove, prove su prove con fosse una preghiera… Sorride. Alcune volte, mentre recito mi diverto a fare dei piccoli scherzi alle attrici o agli attori che sono in scena con me e persino questo mi aiuta a ricordare…durante gli spettacoli ne succedono davvero di tutti colori! Se poi ti dimentichi una battuta puoi dire: “ma tu non mi dovevi dire quando torni domani?”; risposta “ma te l’ho detto…”;  “ma no che non me l’hai detto, ripeti”. In questo modo, se ti sei dimenticato, l’altro che è in scena te lo dice in modo che tu possa comprendere. Sono tecniche diverse, delle piccole strategie come dicevamo prima. Poi naturalmente non è possibile dimenticare qualcosa di davvero importante, almeno se sei un professionista serio.

Quanto tempo serve per prepararsi ad andare in scena?

Solitamente almeno un mese, in media hai un mese di prove prima dello spettacolo, ma devi già aver studiato la parte. Quando frequenti l’Accademia, diciamo agli inizi, ti insegnano delle tecniche precise, ma nel tempo le fai tue, le perfezioni su di te, anche per quanto riguarda la modalità di recitazione. Durante una scena, quando reciti una battuta, devi pensare a ciò che stai dicendo, perché non hai delle intonazioni che sono solo suoni, sono intonazioni che arrivano da dentro; la frase che pronunci tu la stai vivendo davvero e lì ci devi mettere del tuo. Il colore che vuoi tu, unico e personale. 

Come interviene il regista in una sceneggiatura dal punto di vista recitativo? 

A volte il regista ha l’idea di un personaggio del quale vuol far emergere determinate caratteristiche e punta su quello, quindi ti indica la strada da seguire. Il regista è il Direttore d’orchestra, ai solisti mette insieme il coro e tutti quanti; se la musica è bella, lo spettacolo lo sarà di conseguenza. E viceversa. Il regista può intervenire sullo studio del personaggio nel senso che ti dà delle indicazioni, se ne discute, si cerca di portare fuori tutte le sfumature del personaggio che interpreti, ma alla fine se ha scelto te è perché ti conosce. Lui ha letto il copione e ha scelto te per interpretare quel personaggio, tu hai letto il copione e hai deciso di recitare… quindi dopo il ciak si inizia! 

Chi sceglie gli attori è sempre il regista? 

Decisamente sì. 

Ci sono registi che lasciano libertà rispetto al copione? 

Nessuno, nessuno assolutamente. Quando loro firmano un copione quello è il film e tu devi portare in scena quello. Naturalmente ci sono delle elasticità tipiche e plastiche di alcune scene, però il copione resta il grande faro verso cui tendere e devi stare nei limiti e nei tempi imposti. Nel cinema non c’è libertà da questo punto di vista. Tornando al discorso di prima, il teatro è bello anche durante le prove, il mese di prove mentre crei, crei in continuazione ed è bellissimo costruire lo spettacolo, ma una volta che lo hai ideato quello rimane sempre così. Nel cinema invece crei ogni giorno, al cinema ogni ciak è una creazione, tutti i singoli momenti. Capita di girare scene a distanza di un mese e in un altro Stato o persino continente e tu devi riprendere quello stato d’animo, quella concentrazione che ti permetta di proseguire una scena “abbandonata” un mese prima; in questo senso il cinema è difficilissimo!

Tu ami lavorare con registi emergenti, cosa trovi in loro? 

Io ho fatto debuttare ben undici registi, pensa. Ho trascorso notti intere a rileggere i copioni… in particolare ricordo un film con Andrzej Zulawski e Romy Schneider, “L’importante è amare” era il 1975 e la pellicola fu presentata al Premio César dove Romy vinse il Premio come migliore attrice per la sua incredibile interpretazione. Un periodo particolare in cui facevo un film di cassetta per mettere da parte dei soldi e permettermi di fare poi dei film artistici, opere prime, in modo da costruirmi una certa credibilità dal punto di vista artistico. Mi ci mettevo con un regista debuttante e lavoravamo insieme. Anche con Pasquale Squitieri passai molte notti a preparare il copione del film “Camorra”, un grandissimo film amato dal pubblico e molto apprezzato dalla critica. 

Nei “cast stellari”, è difficile andare d’accordo?

Specialmente quando ci sono tante donne! Ride. 

Ti è capitato di recitare con attori che proprio “non hai apprezzato”?

Sì, alcune volte purtroppo capita. Quando ho recitato in Sandokan ad esempio c’era questo attore, di cui non faccio ovviamente il nome, che non era in grado di recitare in lingua inglese, non sapeva andare a cavallo… Inizialmente veniva da me per avere dei consigli, sembrava disponibile ad imparare, ma alla fine si rivelò un incapace e il suo ruolo venne decisamente ridimensionato, per non dire tagliato. Secondo me avrebbe potuto fare tutto salvo l’attore, soprattutto perché se la prendeva con gli altri  – costumista, aiuti, persino con chi gestiva i cavalli – se invece fosse stato più umile sarebbe stato diverso, forse.

A proposito di donne, qual è stata l’attrice che – in qualche modo – hai preferito?

L’attrice che preferisco sarà quella che incontrerò nel mio prossimo film! Scherza… Chi è? Ancora non lo so. 

Prossimi progetti? 

Non posso ancora rivelare nulla, ma sto lavorando alla produzione di un nuovo film e un altro progetto che non so ancora quando partirà, si tratta comunque di due pellicole cinematografiche… ne sentirete parlare… Sorride.

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