Io li chiamo “uomini prodigio”, quei talenti tipicamente made in Italy capaci di trasformare un DNA così talentuoso e coraggioso in uno straordinario successo oltreconfine. Quei favolosi “cervelli in fuga” che da esperienze straordinarie, in Paesi potenzialmente “innovatori”, assorbono un raffinato coktails di conoscenze, preparazioni, sensibilità, coscienze tali da renderli dei veri modelli di imprenditorialità e creatività, dei sofisticati precursori di stile. É il caso di Filippo Dester, seconda generazione della famiglia Dester, landscape designer di professione in uno dei più stimati studi di progettazione di Londra, il Garden Club London.

Giardini come tradizione di famiglia come hai maturato nel corso della tua vita questa grande passione?
Ci sono nato, è come se naturalmente scorresse nel mio DNA. Sono cresciuto nell’azienda agricola di papà, tra serre, vivai e una filosofia dedita alla progettazione e alla realizzazione di spazi all’aperto. Mia mamma è invece architetto e da lei ho ereditato questa profonda passione verso la materia anche se, non lo nego, dapprima iniziai ad improntare i miei studi universitari in medicina per poi, solo dopo, passare alla facoltà di architettura. Il mio background si è sfamato proprio di questa combinazione: l’amore per le piante e i giardini e quello per la progettazione. Il mio percorso da landscape designer ebbe proprio inizio quando scelsi di studiare Architettura a Venezia ma soprattutto quando un tirocinio a Londra si trasformò poi nel lavoro della vita.
Figlio d’arte che vola a Londra.
Come l’hanno presa i tuoi genitori?
L’aspettativa in realtà era quella che rientrassi da quel tirocinio in tempi brevi, un’esperienza temporanea, cosa che poi tradì quella previsione trasformandosi in una lunga avventura di sette anni. L’Inghilterra è magica da questo punto di vista, soprattutto per chi come me ha deciso di orientarsi verso il landscape design. Qui le opportunità di crescita ma soprattutto professionali sono di alto livello. Il giardino in Inghilterra è tradizione, è cultura appartiene ad una vision molto differente da quella che siamo abituati a respirare in Italia.
Quali chance ti ha offerto l’esperienza inglese?
Sono sempre stato attratto dalla paesaggistica e nonostante avessi studiato architettura come tirocinio desideravo fortemente trovare una realtà che fosse orientata sui giardini piuttosto che sull’architettura più classica.Contattai alcuni studi in Germania, in Scandinavia e fortunatamente, anche e soprattutto per la conoscenza della lingua, approdai a Londra, in un piccolo studio di progettazione ma già molto promettente, il Gardan Club London. Dieci anni fa lo studio era composto unicamente dal direttore, da un progettista e da due persone che realizzavano giardini, ebbi quindi la fortuna di assistere a tutta quella grande e straordinaria ascesa che in pochi anni lo elesse tra i migliori studi di Londra oggi forte dei suoi oltre quaranta collaboratori. Dopo il tirocinio rientrai in Italia per concludere gli studi. Poco dopo venni ricontattato da loro con una proposta di lavoro, la stessa che mi consentii di trasferirmi stabilmente a Londra.

Cosa significa oggi essere parte di una delle realtà di settore più importanti di Londra come il Garden Club London?
A livello di formazione è stato impagabile, non solo per la qualità dei progetti in cui sono stato coinvolto ma anche per il ritmo frenetico con cui si lavora e quell’eterno senso di sfida che ti conduce ogni giorno ad abbracciare nuove opportunità e propositi inediti. Un ambiente dinamico, stimolante, sfidante ed estremamente completo.Ho potuto confrontarmi con progetti davvero inusuali, straordinari, ho partecipato a show garden importantissimi, opportunità che probabilmente avrei potuto cogliere solo in Inghilterra, un Paese totalmente travolto da cultura e tradizione nei confronti del garden design.Qui gli investimenti sono sicuramente più importanti che in Italia, sia a livello privato che pubblico e proprio per questo c’è una maggior possibilità di espressione.A livello internazionale anche il Covid ha segnato una profonda svolta. La cultura sul garden è sicuramente cresciuta ed oggi anche in Italia si respira un’attenzione differente, c’è più valore, più interesse verso gli spazi verdi.
Come differisce la clientela italiana da quella inglese e che opportunità puoi avere In Inghilterra rispetto all’Italia?
Anche se il mio campione specifico di clientela proviene da Londra, c’è sicuramente una sensibilità maggiore nei confronti del landscape design soprattutto a livello di aspettative. Se in Inghilterra il cliente desidera circondarsi di dettagli, come di fioriture durante tutte le quattro stagioni, bordure miste interessanti, piccoli giardini trasformati in gioielli en plain air con tanto di cucina all’aperto e barbeque, in Italia si è abituati a ragionare su spazi più vasti e quindi difficilmente interpretabili secondo questa filosofia così attenta ad ogni dettaglio. In Inghilterra riuscire a possedere un giardino o un piccolo spazio all’aria aperta è decisamente “premium”, raro, talmente prestigioso da meritare un valore unico ecco perchè amano indagare minuziosamente in ogni fase della progettazione.Oggi però questa consapevolezza in Italia sta cambiando e me ne rendo conto soprattutto quando lavoro sul Garda o in Toscana, zone tipicamente turistiche persuase da un mood più internazionale. Vedo che ci si sta pian piano avvicinando alla mentalità inglese per restituire il giusto valore ai nostri spazi verdi quasi in maniera evocativa.Trovo interessante osservare come il linguaggio del giardino si stia evolvendo negli ultimi anni.
É diventata quasi una sorta di tendenza…
É diventato una questione di lifestyle senza per forza possedere l’hobby del giardinaggio. Il giardino oggi non viene più interpretato come orto o spoglio spazio verde ma come un vero progetto d’abitare all’aperto in grado di captare sensibilità e apprezzamento.
Partecipi a manifestazioni di settore importantissime come il Chelsea Flower Show, la più importante esposizione floreale della Gran Bretagna e una delle più antiche, in cui sei riuscito a conquistare anche la Medaglia d’Oro, ci parli di questo tipo di evento?
Come Garden Club London abbiamo partecipato alle edizioni del Chelsea Flower Show a partire dal 2018 sempre con successo e conquistando ottimi risultati. Quest’anno per la prima volta sono stato io a firmare il progetto nonostante la mia giovane età e la mia provenienza (non inglese) e per me si è rivelata un’opportunità unica.
Ci parli del tuo Hamptons Mediterranean Garden?
É un progetto che mi rappresenta particolarmente. Una palette di piante e alberi tipicamente italiani, questi ultimi scelti in un vivaio di Latina e portati poi in Inghilterra sei mesi prima dell’inizio dello show. L’Hamptons Mediterranean Garden è un’ode all’Italia e presenta la sua centralità mediante un grande tavolo da pranzo e una cucina all’aperto. Rappresenta la nostra cultura, il piacere della convivialità, dello stare insieme, una lettura inedita del giardino come parte integrante della casa, una congiunzione materica tra la mia esperienza di giardino all’inglese, la mia cultura e il mio background tipicamente made in Italy.
C’è un elemento ricorrente che riesce a identificarti?
Sicuramente l’architetturalità dei miei giardini e quel desiderio di ricreareare una costante spazialità, una relazione tra lo spazio esterno e quello interno della casa. Mi piace comunque progettare uno spazio basando tutta la mia ispirazione sul luogo, che si tratti di un piccolo giardino urbano nel cuore di Londra come di un grande podere in Toscana. In questo caso è difficile poter creare una ripetizione ma cerco di ritrovare la mia identità nella scelta dei dettagli, dei materiali, come le pavimentazioni, le recinzioni e gli elementi architettonici capaci di creare assonanze. Le piante che seleziono sono una perfetta congiunzione tra Italia e Inghilterra, connessione fortunata peraltro perchè oggi come oggi il clima londinese si sta avvicinando sempre di più a quello che ad esempio ritrovo sul Garda rendendo sostenibile la crescita e il mantenimento del verde. Prediligo piante miste con bordure colorate, texture multiformi, foglie diverse, che seppur non richiamando la classica idea di cottage garden sono perfettamente riconducibili alla tradizione ingese.
Qual è stato il tuo progetto del cuore?
Sicuramente il progetto portato allo Show Garden di quest’anno. Sono state quattro settimane durissime ma davvero intense ed il risultato così inusuale per gli standard di Chelsea è stato accolto con grande successo.Il pubblico si è dimostrato estremamente colpito sentendosi davvero coinvolto da quest’ambientazione tipicamente mediterranea. Un po’ come se fosse stato trasportato in una vacanza perenne.L’altro progetto a cui sono particolarmente legato, concepito come Garden Club London, è invece in Toscana ed è stato il primo grande vero esempio di congiunzione tra le due culture ma anche il primo passo per riportare un po’ di questa grande esperienza maturata all’estero nel nostro Paese.
L’Italia ha in qualche modo plasmato e forgiato il tuo stile?
Assolutamente sì, al 100%. A livello di spazialità, colori, materiali, stile e attenzione per il dettaglio l’Italia ha rappresentato l’eco di tutta la mia progettazione. Per quanto riguarda invece la professionalità e la progettazione la matrice non può che essere inglese. Pertanto, nella mia esperienza c’è tanta italianità ed è forse quello che il pubblico internazionale ama di me. Una skill davvero molto apprezzata all’estero e che comunque ritrovo in tutte le professionalità creative.
Sogni mai di tornare a casa Dester?
In realtà torno molto spesso in Italia e l’idea è proprio quella di creare un ponte professionale che possa permettermi di gestire i progetti in entrambi i Paesi, Italia e Inghilterra. Il prossimo anno desidero aprire uno studio qui in Italia riportando “a casa” tutto il bello che sono riuscito ad assorbire in questi anni.
Tra vent’anni ad esempio dove ti vedi?
Geograficamente in Italia professionalmente spero ovunque, cercando di infondere quella cultura del giardino e del landscape design differente da quella a cui normalmente si è abituati. É proprio questa la mia missione, educare e sensibilizzare i clienti italiani prendendo spunto dalla mia esperienza estera.