Giacomo Agostini

Quando da caporedattore hai l’occasione di scegliere le 10 personalità bresciane più influenti dell’ultimo cinquantennio non puoi che intitolare il “tuo” podio, nel mio caso, quello della stampa, al campione mondiale di tutti i tempi, Giacomo Agostini, professione motociclista, con alle spalle 15 titoli mondiali e per giunta, una brescianità che scorre nelle vene. Avrei voluto intervistarlo a bordo di una motocicletta ma, da ex harleista che sono, “sempre un pò in panne”, ho preferito la via meno impavida ma comunque ricca di emozioni ascoltando, come lui stesso lo descrive, quel dono straordinario che la vita gli ha donato.

Giacomo Agostini

Agostini e la motocicletta. 

Un patto di passione indissolubile. 

Com’è iniziato tutto?

Per prima cosa nulla legava il mio passato e la mia famiglia al mondo dei motori. Nessuno se ne era mai interessato e la mia passione nacque così, come un fulmine a ciel sereno nel palese stupore di tutta la mia famiglia che non riuscì allora a farsene una ragione. 

Già in tenerissima età desiderai fortemente possedere una motocicletta ma, all’epoca, riuscire ad esaudire un desiderio del genere non fu per niente facile. Riuscii finalmente solo a 9-10 anni a guidare il mio primo motorino senza mai dimenticare lo sbalordimento di mio padre per questa tenace e impetuosa passione.

Quali sono stati i passi emblematici della sua carriera, dai primi podi con la Morini?

I tempi della Morini sono un bellissimo ricordo. 

Sicuramente il momento più significativo fu la prima gara. Mi presentai a bordo di una moto privata, non ufficiale, senza meccanico e senza nessuno a sostenermi. Arrivai secondo competendo con 40 professionisti e solo in quel momento tutti iniziarono a mettermi gli occhi addosso, chiedendosi chi fosse quel ragazzino tanto talentuoso.

13 titoli mondiali con la MV Augusta cosa ricorda di quegli anni?

Anni indimenticabili. L’MV Augusta fu una grande famiglia per me e il passaggio dalla Morini all’MV segnò in maniera decisiva il mio ingresso nel mondo dei professionisti.

Fu un momento memorabile ma carico di tensione. 

Le responsabilità erano ai massimi livelli, non dovevo tradire la fiducia di questa grande casa che credeva in me, avevo l’obbligo di portare in alto il nome dell’MV, un emblema di cui avevo parecchia soggezione. Salii sulla mia moto e vinsi subito il campionato davanti a un pubblico di 140.000 persone. Un sogno ad occhi aperti. Riuscii a rendermi conto di essere diventato il nuovo campione del mondo solo il giorno dopo. 

15 volte campione del mondo, divenne quasi un’abitudine…

Beh una piacevole abitudine direi. 

Non pensate comunque che sia stato facile. Finita la “baldoria” con lucidità iniziai a pensare al tuo futuro e con estrema consapevolezza provai un senso di grande responsabilità. Invece di sentirti il campione del mondo, tronfio di sicurezza e persuaso dal talento, inizi a darti da fare per non fallire, per conquistare il futuro, per ripetere quel successo senza però abbassare la guardia, con umiltà, con spirito di sacrificio, allenandoti sempre di più, abbandonando le distrazioni giovanili ma concentrandoti esclusivamente su te stesso.

Giacomo Agostini oggi

Che motociclista sarebbe oggi Giacomo Agostini? Com’è cambiata la moto GP in questi cinquant’anni?

Il progresso ha segnato un cambiamento inequivocabile. La sicurezza oggi gioca un ruolo fondamentale rispetto ai miei tempi. Oggi quel pensiero fisso di riuscire a tornare a casa vivo, sano e salvo, non ti assale più. Negli anni sessanta e settanta accadevano con frequenza incidenti anche gravissimi oggi, fortunatamente, un pilota può contare su ampi spazi di fuga, su tute concepite secondo i più avanzati crismi in termini di sicurezza, pensate che ai mie tempi una tuta pesava 1 kg oggi ne pesa 9 e contiene pure l’airbag. I piloti oggi cadono e fortunatamente si rialzano e questo rappresenta un grandissimo vantaggio.

Quanto incideva il coraggio?

L’amore che ti tiene aggrappato a questo mestiere non ti conduce di certo a pensare al peggio. Non posso parlare di coraggio ma di un approccio estremamente naturale e viscerale. Sei talmente innamorato che non pensi a cosa ti potrebbe accadere o per lo meno maturi la consapevolezza che a te non succederà mai. Un po’ come quando saliamo sull’aereo.

Quali caratteristiche deve possedere un vincente? 

Il vincente nasce con un dono. 

Il mio talento è maturato su quel dono che Dio o madre Natura ha voluto concedermi. In pista facevo cose che gli altri non riuscivano a fare ma con estrema naturalezza, penso che quel dono vada proprio a ritrovarsi in quell’attitudine. 

Naturalmente quella virtù la devi perfezionare, coltivare con sacrificio e tanta disciplina, deve crescere insieme a te. Devi saperla rispettare e onorare.  

Questa passione ha modificato la sua vita privata?

Non lo so. 

Io sono nato e cresciuto pensando alle motociclette. Non saprei immedesimarmi in una vita diversa. Tutto poi è avvenuto di conseguenza quindi penso che la mia vita privata si sia in un certo senso adeguata. 

I miei genitori furono sbalorditi da questa passione e mio padre cercò anche di dissuadermi regalandomi per i diciotto anni una fiammante Giulietta Sprint, ma nulla di tutto questo fu utile per disastrarmi da quella grande passione per le motociclette. 

Il ricordo più bello e quello più brutto?

Non posso dimenticare la mia prima vittoria. 

Mi presentai con la mia moto affiancato dal meccanico che in realtà era il panettiere del paese. In spalla uno zaino carico di panini e cotolette, cucinati dalla mamma e tanta, tantissima ambizione, la stessa che si traformò in una grande vittoria. 

Indimenticabile fu anche il primo titolo da campione del mondo nel 1966 a Monza come, successivamente, l’abbandono dell’MV per la Yamaha.

In quegli anni molti dubitarono del mio talento attribuendo il successo alle performance della moto, passando in Yamaha riuscì a dimostrare il contrario collezionando nuovamente i miei titoli da campione del mondo. Un ricordo doloroso lo andrei invece a ritrovare in quella brutta caduta che oltre a farmi sfumare il podio da campione del mondo mi condusse a un lungo periodo di stop.

L’abbandono di Valentino Rossi ha lasciato un graffio nel cuore di tutti gli appassionati, come si è sentito lei quando ha deciso di abbandonare le corse?

É stata dura, molto dura. Fu una decisione davvero sofferta e piansi per giorni. Ebbi la consapevolezza di lasciare quel grande amore che non sarebbe più tornato. Gli anni però passano ed è necessario maturare un altro tipo di consapevolezza ovvero quella di lasciare il posto ai giovani. Per me fu così.

Oggi chi è Giacomo Agostini?

Sono sempre quello d’un tempo. Certamente non più a caccia di titoli mondiali ma conducendo la stessa vita. Oggi il motociclismo scorre ancora nelle mie vene, lavoro per Sky, partecipo ai Gran Premi così come a moltissime manifestazioni, costruisco anche case, insomma… mi dò da fare.

E la moto?

Beh guarda ora sto uscendo in moto per fare delle commissioni (e siamo a fine gennaio). 

Non potrei mai farne a meno, ora come ieri.

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