Giulia Pedretti “copertina” di Forbes

26 enne, bresciana, bellissima (ma questo è solo un dettaglio), Giulia Pedretti ha scalato la classifica “30 Under 30 Europe 2022” stilata da Forbes presentando al mondo la sua talentuosa attitudine già svelata in realtà a soli 21 anni con Arteak la sua azienda con sede a Londra, con filiali in Italia, Sud Africa e Singapore, forte di 80 dipendenti che attualmente forniscono servizi in 21 paesi nel mondo.

Giulia Pedretti, una ventiseienne bresciana sulla copertina di Forbes. Parlaci del tuo background.

É in Franciacorta a Rodengo Saiano che ho trascorso la mia infanzia e la prima parte della mia vita per poi trasferirmi a Brescia insieme a tutta la mia famiglia identificando in questa città un luogo sicuramente più favorevole ed adeguato per la formazione scolastica mia e di mia sorella.

Iniziai gli studi superiori al Calini per terminarli al Don Bosco “covando” in quegli anni già un’irrefrenabile voglia di viaggiare, di conoscere il mondo e cogliere opportunità diverse. Grazie al sostegno dei miei genitori riuscii a sperimentare questa attitudine frequentando l’università in Inghilterra precisamente alla Regent’s University London un istituto che mi venne fortemente consigliato da un amico.

A 19 anni senza alcuna esitazione ma con il cuore colmo di aspettative partii per Londra, senza conoscere perfettamente la lingua basandomi unicamente su un’elementare preparazione.  Per me questo passaggio segnò la prima grande svolta: io, Giulia Pedretti, una ragazza bresciana, da sola ad affrontare le prime responsabilità in un paese sconosciuto. 

Mi ritrovai al primo anno di Global Business Management circondata da ragazzi provenienti da ogni dove, alcuni di loro già carichi di un bagaglio di esperienze notevoli ma soprattutto di una preparazione linguistica considerevole (in molti parlavano persino cinque lingue).

Nonostante inizialmente nutrii una certa inquietudine e non lo nego imbarazzo di fronte a tanta preparazione mi ritrovai a percorrere un’esperienza incredibile, sicuramente uno dei più grandi regali che potei ricevere nella vita.

Qual è il valore che quegli anni ti hanno lasciato?

Sicuramente il networking. 

Ho conosciuto persone straordinarie provenienti da ogni angolo del globo, ragazzi con cui ho stretto rapporti importanti sicuramente indispensabili per il futuro. 

Proprio durante il periodo dettato dalla pandemia attraverso questa fitta rete di contatti riuscii ad aiutare mio padre alla ricerca di un collegamento in Vietnam  e posso dire fermamente che esperienze di questo tipo sono veramente in grado di aprirti le porte del mondo.

Il punto di partenza?

Proprio mentre frequentavo l’università si presentò l’opportunità di partecipare ad uno stage in un’azienda inglese che commercializzava prodotti e dispositivi per la sicurezza individuale. Un’azienda simile a quella di mio padre ma molto più piccola. Decisi di sfruttare questa occasione benchè l’azienda fosse in perdita e prossima alla chiusura.

Dopo alcuni mesi il proprietario dichiarò seriamente le sue intenzioni prossime ad una cessazione e proprio in quel preciso istante si accese dentro di me una nuova opportunità.

Già da tempo ipotizzavo la possibile apertura di un’azienda qui a Londra tutta mia, avevo solo 21 anni e moltissime idee non del tutto chiare e definite. Il mondo della sicurezza, grazie alla Safe, l’azienda di famiglia, non mi era peraltro così sconosciuto e valutai seriamente di rilevare la Arteak Ltd. quell’azienda ormai ridotta ai minimi termini ma, a mio avviso, con un grande margine di successo. Decisi quindi di rilevarla e buttarmi a capofitto in una nuova avventura, questa volta imprenditoriale, incassando responsabilità, margini di rischio ma soprattutto escogitando verso quale direzione invertire la rotta. Misi da parte quel core-business vacillante e arido che condusse l’azienda alla chiusura e decisi di riorganizzarla puntando sui servizi. 

Partecipai ad un tender e lo vinsi. In poco tempo grazie ad un team veramente d’eccezione, con una grande preparazione dal punto di vista tecnico e teorico riuscimmo a crescere nel campo dei servizi e di conseguenza ad affermarci. Nel giro di poco tempo l’azienda si perfezionò ulteriormente ed aprimmo dei branch in Sud Africa, a Singapore e in Pakistan mentre ad oggi stiamo per aprirne uno nelle Filippine portandola da 2 a 80 dipendenti.

Cosa significa rilevare un’azienda a 21 anni?

Sicuramente ho fatto tesoro dell’esperienza maturata in famiglia e di quell’attitude imprenditoriale che scorre nel DNA dei Pedretti. 

Non ho rilevato una multinazionale ma un’azienda in perdita di conseguenza quello che dapprima nacque come voglia di sperimentare si trasformò in una grandissima scommessa.

Di cosa si occupa Arteak?

Ci occupiamo di consulenza HSSE (Health, Safety, Security, Environment). Forniamo ai nostri clienti consulenza in materia di salute, sicurezza, protezione e ambiente (HSSE) e servizi operativi per i settori petrolifero e del gas, edile, cantieristico, energetico, dei trasporti, chimico, farmaceutico, delle telecomunicazioni e manutenzioni.

Offriamo servizi anche più operativi come il lavoro in fune, il lavoro in spazi confinati, coordiniamo squadre di emergenza, squadre di soccorso, di manutenzione e di ispezione.

Garantiamo ai nostri clienti tutta una serie di servizi consacrati al mondo della sicurezza sostanziali nelle quotidiane attività di moltissime aziende all’estero.

In Italia invece?

La situazione in Italia è ahimè più complessa. Esiste un vero problema nel comprendere che la sicurezza è fondamentale. Oggi in Italia la cultura della sicurezza rappresenta un grande limite, viene annoverata come costo anzichè come vantaggio e tutela. Il mio obiettivo è proprio quello di riuscire ad infondere questo concetto perchè possa essere seriamente rivalutato, apprezzato e perchè possa stabilirsi come nel resto del mondo con disciplina.

All’estero tutto è diverso, esiste un’attenzione rigorosa. Le aziende puntano inevitabilmente sulla sicurezza non solo per non mettere a rischio la propria forza lavoro ma anche per non compromettere i rapporti con i propri stake older, quegli investitori che probabilmente in virtù di un grave danno non capitalizzerebbero più.

Sono rientrata in Italia, dopo 7 anni vissuti all’estero, per aprire una nuova azienda proprio qui a Brescia con il desiderio di puntare sul problema delle morti bianche, un callo nel nostro Paese. Se le multinazionali nel mondo piangono solo 3 morti all’anno l’Italia ne piange ben 2000, dati senza dubbio sconcertanti che dovrebbero innescare varie riflessioni e azioni concrete. Sto pensando ad un progetto di prevenzione, principalmente nei settori di alto medio rischio e da estendere poi a tutte le altre aziende.

Qual è la risposta delle istituzioni?

Penso che la sensibilità possa essere smossa più nelle stesse aziende che attraverso canali governativi. É però evidente ed assodato che in Italia la sicurezza rimane veramente ai minimi livelli ma, a parte il parlare su telegiornali, soluzioni pratiche non vengono intraprese. É sempre un “dopo”, “dopo che è successo”, “dopo che si è consumata la tragedia”, è la prevenzione invece che deve essere sostanziale. Senza pensare che per un imprenditore dal punto di vista legale e penale la mancanza di sicurezza rappresenta un azzardo veramente pericoloso.

Stiamo attraversando in un momento storico per antonomasia consacrato al cambiamento quindi devo puntare tanto sulla prevenzione e la cultura sulla sicurezza tra i giovani, vorrei parlare nelle scuole, negli istituti superiori in modo che certi concetti diventino cultura e non passino inosservati. Pensiamo solamente alla gru di Torino, una vera tragedia.

Spazio per migliorare ce n’è e vorrei concentrarmi solo su questo.

Il vostro successo qual è stato?

Sicuramente il nostro successo si fonda sulle competenze estreme dei nostri tecnici, esperti dal punto di vista pratico, teorico ed etico. Abbiamo sempre necessità di assumere persone con grande esperienza. Anche la digitalizzazione rappresenta una delle nostre grandi skills, parliamo di realtà aumentata, droni, NDT (prodotti e strumenti per controlli non distruttivi).

Durante il Covid come sei riuscita a sostenere il periodo?

Proprio grazie a “Smart”, un progetto basato sulla realtà aumentata, riuscii a vincere Forbes under 30. 

Data l’impossibilità di effettuare viaggi e visite sui cantieri dei nostri clienti in quel periodo escogitammo un dispositivo che potesse mettere in connessione il nostro cliente con i nostri tecnici in modo tale da poter risolvere e operare direttamente sulla problematica in tempo reale.

Questo particolare “aggeggino” ti permette infatti di connettere il tecnico che in quel momento opera sulla struttura con uno dei nostri esperti che attraverso la telecamera riesce a fornire nozioni istantanee.

Il dispositivo si basa su comandi vocali, è possibile inoltre redigere dei report, scattare immagini e video precisi ed inviarli immediatamente anche al cliente. Questo ci ha permesso di “viaggiare” nel mondo e poter lavorare autonomamente in un momento circoscritto da limitazioni importanti. 

Come sei riuscita a vincere Forbes under 30?

Mi iscrissi un anno e mezzo fa compilando un formulario di presentazione. Venni ricontattata dopo una settimana per redigere un nuovo questionaire di 200 domande. Una lista infinita. Dopo un’altra settimana mi ricontattarono per un’intervista e subito dopo per richiedere una mia foto. In quel momento capii che qualcosa di positivo stava accadendo. Dal nulla mi arrivò la mail con le congratulazione e vidi la mia faccia in copertina su Forbes. Fu un’emozione indescrivibile. 

Quel traguardo rappresentò per me qualcosa di grandissimo, non solo una soddisfazione personale ma un’opportunità più unica che rara per poter consolidare la mia azienda.

Che differenza hai riscontrato nel lavorare a Londra e a Brescia?

Oggi non posso azzardarmi in un paragone. Imprenditorialmente sono nata a Londra e ad oggi non possiedo termini di confronto ma posso affermare che nell’avviare un’azienda come Arteak in Italia non avrei di certo ottenuto gli stessi risultati.

Non è retorica, Londra offre veramente più opportunità, più contatti, con una burocrazia più leggera e progressista. Il sistema è diverso. Londra si dimostra aperta per i nuovi imprenditori, li sostiene e li appoggia diversamente dall’Italia più macchinosa e rallentata in questo senso.

La tua vita oggi dov’è?

Oggi sono tornata Italiana e ho deciso di trasferirmi definitivamente qui a Brescia in vista dell’apertura della nuova azienda. 

Penso che la nostra città possa impersonare perfettamente quelli che sono i miei obiettivi ed entro la fine dell’anno aprirò questa nuova realtà. 

Il Covid mi ha molto cambiata, prima ero più dinamica, più incline al cambiamento, ma dopo 7 anni ho maturato la necessità di ritrovare la mia casa, le mie radici, anche per la gioia della mia famiglia. 

Sono proprio contenta di essere tornata.

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