Giuseppe Veneziano: la new pop siciliana che attraversa l’Europa

ph Livio Mallia

Estroverso, ironico e provocatorio Giuseppe Veneziano approda a Pietrasanta, capitale internazionale della scultura, letteralmente travolta da un’ondata di contemporaneità. La celebre piazza versiliese si tinge di colore e, mentre la Collegiata di San Martino osserva sbigottita un’enorme Blue Banana e Dante intrattiene gli avventori del Caffè Michelangelo, Papa Francesco si diverte con lo skateboard sul sagrato di Sant’Agostino, la Venere Turchina manovra i fili di Pinocchio e molto altro ancora in un gioco di rimandi storici, economici e di costume.

“Il mio obiettivo non è stupire” racconta Veneziano “la realtà molto spesso supera la fantasia in un incessante ripetersi e, in quanto artista, sento la necessità espressiva di comunicare ciò che vedo e sento”. The Blue Banana promette di stupire e coinvolgere in un percorso di scoperte e rivelazioni che si articola tra dodici opere monumentali distribuite nel centro cittadino e continua in galleria con le tele dell’artista esposte presso Futura Art Gallery

Come nasce l’idea di “The Blue Banana”?

L’obiettivo principale è raccontare il nostro tempo, l’evoluzione politica dell’Europa. Se ci pensi, dopo secoli di guerre, la grande novità che abbiamo vissuto nel terzo millennio è la pace. Nel momento stesso in cui l’Europa si è affermata come unica realtà geopolitica, al di là delle problematiche correlate, non c’è più stata una guerra e penso che questo sia un traguardo importantissimo. Detto ciò, il termine “banana blu” non è certo una mia invenzione, ma venne utilizzato la prima volta nel 1989, in un articolo pubblicato dalla rivista Le Nouvel Observateur, per riferirsi alla dorsale di sviluppo economico e demografico dell’Europa Occidentale. Osservando le fotografie dell’Europa di notte, si poteva notare chiaramente un flusso di luce costante intorno alle città che non riposano mai e che, per l’appunto, ricordava la forma di una banana. Queste città sono state individuate tra Londra, Randstad, Bruxelles, Reno-Ruhr, Francoforte, Basilea, Zurigo, Torino e Milano. Una vera e propria megalopoli europea e quindi di colore blu, proprio come la sua bandiera.

Sulla scorta di quest’ispirazione, quattro anni fa, ho intrapreso il mio progetto ricco di referenze in ambito sociale, politico e non solo. Penso che l’arte debba essere sempre attenta e sensibile a captare ciò che accade nel mondo e, in qualche modo, a farsene interprete. Religione, politica, sesso, tecnologia, problematiche sociali…

Perché Pietrasanta?

Frequento Pietrasanta da oltre quindici anni e ho avuto modo di conoscere il territorio e le sue potenzialità; qui i sogni degli artisti si realizzano concretamente, nella dimensione materiale e tridimensionale del termine! Solitamente dipingo le mie opere su tela, ma quando ho intravisto l’opportunità di realizzarle a tuttotondo non ho esitato. 

L’esperienza dei laboratori è bellissima, puoi vedere come gli artigiani plasmano la materia, osservi la storia scorrere tra le loro dita. La fusione in bronzo è una tecnica che usavano i greci, la tecnica della cera persa… è affascinante pensare che il passato viva nel presente, in un mondo che si trasforma giorno dopo giorno, ci sono lavorazioni artigianali che sopravvivono e ci ricordano le origini del nostro tempo. Tutte le opere sono state realizzate in Toscana: i bronzi e le resine a Pietrasanta, mentre i marmi provengono da Carrara.

La globalizzazione è un tema ricorrente nelle tue opere: globalizzazione si o no?

Io sono a favore della globalizzazione, secondo me rappresenta un arricchimento a patto che ogni “entità” mantenga viva la sua identità. Nessun appiattimento, ma commistione, scambio e crescita. Poi, se ci pensi, il termine “globalizzazione” pare esprimere un concetto del tutto moderno, quando già al tempo del Sacro Romano Impero le cose non erano poi molto diverse. Naturalmente questo è solo un esempio, ma ce ne sarebbero molti altri; la storia è ciclica e oggi stiamo percorrendo una strada che già esisteva, forse non lo sapevamo o semplicemente aveva un altro nome. Se cerchiamo qualche frammento di verità, possiamo trovarlo solo nella storia anche se forse non abbiamo appreso poi molto, visti tutti gli sbagli che continuiamo a commettere! Tornando a noi, questo concetto di Europa unita mi piace, ciò che mi interessa davvero celebrare è l’assenza di guerre e anteporre la vita umana a qualunque altra questione.

Vieni spesso definito “un artista controverso” per le tue opere audaci e cariche di significati in qualche modo ambigui…

Non posso negare che le mie opere facciano spesso discutere e spesso mi vengano  attribuite etichette che non sempre mi rappresentano. Le mie opere nascono da una mia reazione rispetto a ciò che vedo; come tutti guardo la televisione, leggo i giornali e osservo la realtà che mi circonda. Quando incontro qualcosa che crea in me una sensazione, una reazione, in quanto artista sento la necessità espressiva di comunicare il mio sentimento.

…quindi esprimi il tuo punto di vista o intendi creare una sorta di cortocircuito nell’osservatore per spingerlo a riflettere?

Io la definisco reazione a catena. La mia reazione difronte alla realtà mi spinge a creare un’opera e, nel momento stesso in cui la rappresento, immagino che l’osservatore abbia a sua volta una reazione. Il mio é un fatto personale di fronte al mondo che mi circonda, allo stesso modo, ciò che rappresento può innescare altre reazioni imprevedibili, positive o negative. Spesso il pubblico si divide rispetto alle mie opere, resta persino spiazzato in qualche caso, ma questo mi fa piacere e lo trovo giusto perché l’arte non può – e non deve – lasciare indifferenti. L’osservatore può reagire bene o male, io non posso saperlo in anticipo, né sperare di compiacerlo; le reazioni negative spingono comunque ad una riflessione… perché quest’immagine mi disturba? Perché crea in me uno scompenso emozionale? Fondamentalmente l’arte dà una forma, un colore e un nome alle nostre emozioni, alle sensazioni che custodiamo dentro di noi, ma che qualche volta non riusciamo a comprendere e riconoscere.

La New Popular Art nasce con l’obiettivo di parlare un linguaggio comprensibile…

Ritengo che questo sia un aspetto fondamentale del mio lavoro. Spesso l’arte si nasconde dietro riflessioni filosofiche profonde, si veste di una concettualità spinta che per me non esiste. Non intendo dire che il concetto nell’arte non esista, al contrario non c’è un’opera o un quadro che non abbia alle spalle un pensiero; l’azione stessa della pittura è un atto concettuale che nasce da una riflessione. Tuttavia l’idea di far prevalere l’intenzione a danno dell’oggetto estetico personalmente non mi interessa, creare con un linguaggio accessibile a pochi non rispecchia il mio sentimento artistico. Penso che la persona comune, che magari si intende poco di arte, che non vive di arte, quando si trova difronte a opere “troppo concettuali” non possa comprendere: un mucchietto di sabbia, un paio di occhiali rotti… In qualche modo non capire ciò che vedi ti mette a disagio, ti fa sentire ignorante, è come se l’artista si ponesse al di sopra di te. Per quanto mi riguarda ho deciso che la mia arte deve appartenere a tutti senza alcuna eccezione. 

Eppure le tue opere raccontano molto altro…

In effetti cerco di parlare un linguaggio universale, comprensibile a tutti, se non altro ad un primo livello di lettura. Mi spiego meglio. Cerco di attirare l’attenzione dell’osservatore attraverso soggetti facilmente riconoscibili o colori che affascinano per la loro forza cromatica, e poi, nel momento in cui sento di averlo avvicinato, lo conduco alla scoperta di tematiche più profonde. Mi riferisco a problematiche come la guerra, la politica, il costume. Con la mia lente d’ingrandimento metto in evidenza ciò che ritengo importante raccontare, lo rendo visibile a tutti affinché vi si soffermino, non certo perché io abbia le risposte ai problemi del mondo. Sorride.

Poi se vuoi accedere ad ulteriori letture, se ti senti un po’ più elevato rispetto al pubblico comune che non si occupa di arte, o sei un intellettuale, guardando il mio lavoro puoi accedere ad altri livelli di significato, più specifici o sofisticati. L’arte si manifesta spesso attraverso dei simboli che necessitano di essere conosciuti o approfonditi per essere compresi appieno. Così, ad esempio, nel caso di “The Blue Banana” riconosci la banana in quanto frutto, vedi il colore blu, ma per comprendere il significato successivo devi conoscere la geopolitica, il concetto di globalizzazione e via dicendo.

A proposito della simbologia della tua terra…

Per molti anni ho avuto una visione piuttosto drammatica della mia terra; ci ho vissuto e lavorato negli anni degli attentati, delle stragi di Stato. Quando vivevo a Palermo, e lavoravo al Giornale di Sicilia, ho raccontato, rappresentato e illustrato queste storie;  quando arrivavano le notizie e non c’erano le fotografie, io immaginavo quelle scene e le rappresentavo. Ho potuto conoscere una Sicilia diversa da quella che vede il turista, quella dei colori, dei profumi e dei sapori… 

Sono trascorsi parecchi anni prima che mi decidessi ad esorcizzare questi aspetti della mia terra e ricominciassi a godere del fascino della sua storia meravigliosa e ricca di simboli, miti, bellezza, folklore. Pensiamo al carretto, le maioliche, i Pupi siciliani, i canti tipici, i balli tradizionali, i racconti, le leggende e i proverbi. Nel tempo ho compreso che il mio “Pop” non è di origine americana, come molti pensano, ma nasce proprio dalla mia terra, la Sicilia.

Quindi New Pop Siciliana?

Assolutamente. E pensa che ho avuto il piacere di conoscere a Pietrasanta lo scultore siciliano Girolamo Ciulla e abbiamo deciso di organizzare una bipersonale a Palazzo Moncada, a Caltanissetta. L’idea nasce con l’obiettivo comune di onorare la nostra terra  raccontando i miti siciliani che non tutti conoscono e che meritano di essere riportati alla luce. Non voglio svelare troppo, ma abbiamo cercato modi nuovi per raccontare la realtà attraverso la nostra arte; per quanto mi riguarda il disegno prevarrà sul colore, saranno tele diverse ma come sempre ricche di contenuti.

…a proposito di casa (Brescia), non posso evitare la domanda, com’è la tua Vittoria Alata?

La Venere di Milo è una simbologia che utilizzo spesso nelle mie opere. 

Si tratta di un mito del periodo classico famoso in tutto il mondo, emblema del canone femminile greco; Afrodite porta con sé aspetti sociali e simbolici forti e riconoscibili.

Nel caso della Vittoria Alata ho pensato di fare una variazione alla mia “Venere Turchina” a cui sono letteralmente spuntate le ali! Sono venti litografie e ognuna delle statue raffiguranti il simbolo di Brescia avrà delle ali uniche, dipinte ad hoc. La Venere tira i fili di Pinocchio, un’altra simbologia per unire storia e fantasia, realtà e finzione, rendere il mio lavoro sempre imprevedibile e molto personale. L’idea di far incontrare mondi lontanissimi, secondo modalità spesso inaspettate, crea nell’osservatore una sorta di corto circuito mentale, quell’elemento a sorpresa che caratterizza le opere ed è alla base della mia creatività.

Scrive Paola Rivetta

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