il do di petto del tenore

“La voce, per costituzione sua naturale, ordinariamente è divisa in due registri chiamansi l’uno di petto, l’altro di testa, o sia di falsetto. Ho detto ordinariamente perché si da anche qualche raro esempio che qualcheduno riceve dalla natura il singolarissimo dono di poter eseguire tutto colla sola voce di petto.”
Giovanni Battista Mancini,
Pensieri e riflessioni pratiche sopra il canto figurato, 1774
Oreste il tuo primo approccio alla musica è stato come per molti ragazzi lo studio del pianoforte, giusto? Com’è stato poi che sei passato al canto?
In realtà da bambino imitando il prete che in chiesa guidava i canti, mi sono accorto di avere una voce inconsueta per un bambino di 8 anni, una voce con una impostazione d’altri tempi. Cantavo come se sapessi già cosa fosse l’opera, poi in attesa che la voce maturasse ho cominciato a studiare il pianoforte. Solo a 17 anni entrai nel coro lirico della mia città e in quel momento ci fu una svolta. Conobbi delle persone speciali che seppero risvegliare in me l’interesse e l’amore per la lirica. La mia cameretta diventò il mio teatro e lo schermo del mio computer il palcoscenico.
Oggi guardandoti indietro a chi ti senti riconoscente per la tua carriera?
Potrebbe sembrare una risposta scontata ma sono riconoscente ai miei genitori che mi hanno sempre sostenuto e incoraggiato in questo difficile percorso, più di ogni altra persona. Anche la mia fidanzata Amelie mi incoraggia sempre tantissimo in ogni momento cercando di far venire fuori il meglio di me.
Invece se dovessi indicare alcuni cantanti che consideri dei modelli per te?
Mi ispiro a moltissimi grandi artisti cercando di capire i segreti delle doti che più mi affascinano in loro. La libertà di emissione di Pavarotti, la musicalità di Domingo, la passione di Rolando Villazon, il carisma di Maria Callas, il fraseggio e il legato di Ramon Vargas, i colori e le sfumature di Carreras e tantissimi altri. Un grande cantante, oltre alla voce, deve avere tutte queste qualità e non solo. Bisogna però assicurarsi che l’ispirazione non si trasformi in imitazione e l’imitazione non sarà mai come l’originale. Per questo motivo al momento la mia ricerca è rivolta più all’interno che non all’esterno di me. Nel mondo dell’opera sono stati raggiunti, in passato, dei livelli di perfezione vocale che probabilmente non verranno mai superati. Il dovere delle nuove generazioni è quello di tenere viva la tradizione operistica aggiungendo innovazione e personalità.
Possiamo dire che il Teatro alla Scala per tutti è un obiettivo da raggiungere tu in realtà hai iniziato molto presto a calcare quel palcoscenico.
Certamente il mio obiettivo però è quello di tornare alla Scala cantando dei ruoli come protagonista. Mi ritengo molto fortunato ad aver cominciato giovanissimo a calcare il palcoscenico della Scala, prima nel coro, poi interpretando parti solistiche sempre più importanti. Quando nel 2016 entrai nell’Accademia della Scala ho lasciato il coro definitivamente per dedicarmi alla carriera solistica.
Invece come è stata l’esperienza a Ravenna sotto la direzione del Maestro Muti?
L’esperienza con il maestro Muti è stata illuminante. Una delle persone più carismatiche ed energiche che abbia mai conosciuto. Da lui ho imparato l’importanza della “parola” e di come sia indissolubilmente legata alla musica. Potrebbe sembrare un concetto semplice ma dietro ad esso si nasconde l’essenza del dramma. Inoltre, essendo stato anche un masterclass per i direttori d’orchestra, sono stato felicissimo di apprendere i rudimenti della direzione orchestrale che mi sono molto utili per capire più in profondità le richieste e le intenzioni dei direttori d’orchestra per fare musica ad un livello superiore.
Oltre alle persone sono importanti anche le esperienze che si possono fare. Oggi, a distanza di tempo, quali pensi siano state le più significative per te?
Un’esperienza molto significativa l’ho vissuta circa tre anni fa quando ho vinto l’Aslico, grazie al quale debuttai il ruolo di Fenton in Falstaff in molti Teatri d’Italia tra cui il Teatro Grande di Brescia. Purtroppo mi ammalai di una brutta laringite, ma decisi comunque di fare tutte le prove e questa situazione rese quel periodo una vera e propria lotta che peraltro culminò nel mio debutto nella “Boheme” con la Fondazione Arena di Verona e pur non essendo in piena forma, ottenni un buon successo.
Questa esperienza mi ha insegnato che non bisogna arrendersi mai.
A volte sembra di andare incontro a delle sconfitte ma in realtà sono proprio quelle che, se affrontate nel modo giusto, possono dare lo slancio verso un futuro di successo. Anche se può essere psicologicamente doloroso, gli errori sono “maestri di vita” purché analizzati e studiati con attenzione. Lasciare andare via i ricordi degli errori per scacciare insieme a loro la sofferenza, non insegna nulla!
Tu hai un repertorio molto ampio, quali sono però le opere che preferisci?
E’ vero, ma è molto difficile rispondere a questa domanda. Ciò che mi ha permesso di amare moltissimo alcuni ruoli di autori stranieri è che per cercare di interpretarli al meglio ho dovuto necessariamente studiare le basi della lingua in cui sono scritti. Parlo abbastanza bene sia il Francese che il Tedesco, oltre allo spagnolo e inglese che conoscevo già. Adesso sto anche imparando un po’ di Russo (una lingua stupenda) perché nei prossimi mesi debutterò il ruolo di Lenksy in Onegin di Tchaikovsky e ho già la sensazione che sarà uno dei miei ruoli preferiti. Resteranno sempre fra i miei preferiti: Boheme, Rigoletto, Lucia di Lammermoor, ma al momento il ruolo del mio cuore è Hoffmann in Les contes d’Hoffmann di Offenbach. Mi riconosco incredibilmente in questo personaggio che, con la forza della sua stupenda musica mi riporta a rivivere molte esperienze passate.
Guardando in prospettiva cosa ti piacerebbe cantare che ancora non hai interpretato?
Sto aspettando con trepidazione la possibilità di cantare Romeo in Romeo et Giuliette e Werther.
E se potessi scegliere i tuoi prossimi partner artistici con chi ti piacerebbe lavorare?
Tantissimo con Lisette Oropesa, Rosa Feola, Luca Salsi, Massimo Cavalletti, ma anche tanti altri con i quali ho già lavorato e che vorrei ritrovare presto: Anna Netrebko, Davide Luciano, Maria Mudriack, Andrea Mastroni, Lorenzo Passerini, Ferdinando Sulla.
Tu hai anche una bellissima fidanzata che è pure lei una cantante. Si Amelie Hois!
E’ bellissimo condividere la vita con una persona che può capire al 100% le tue gioie e soddisfazioni ma anche le tue lotte e difficoltà. A volte è un po’ difficile trovare pace quando cantiamo entrambi nello stesso momento (noi cantanti lirici siamo abbastanza rumorosi) però ne vale la pena. Inoltre lei ha da poco intrapreso anche la carriera da attrice e io sono molto orgoglioso di lei.
Avete lavorato ancora insieme?
Lavoriamo insieme molto spesso perché tre anni fa abbiamo fondato un duo che si chiama AmOre che oltre alla nota parola italiana, rappresenta la fusione dei nostri nomi Amelie e Oreste. Questo gioco di parole, insieme al fatto che siamo una coppia nella vita reale, in Europa sta funzionando molto bene.
Com’è incontrarsi sul palcoscenico ed incontrarsi a casa?
Tornare a casa insieme dopo un concerto è senza dubbio una sensazione stupenda. Ogni volta ripercorriamo, insieme, ogni momento della serata per capire se siamo riusciti a cantare e interpretare il nostro repertorio come desideravamo. E’ bellissimo sapere di potersi fidare al cento per cento del proprio partner per avere dei riscontri sinceri, sia positivi che negativi. Proprio attraverso questi, cerchiamo di migliorarci sempre di più.
Per molti affrontare il pubblico è difficile perché sulla gratificazione di avere tutta l’attenzione per sé prevale la sofferenza di dover condividere qualcosa con gli altri, tu come lo vivi?
Il vero artista in ogni esibizione mette a nudo se stesso. Per trasmettere al pubblico la felicità o la sofferenza del personaggio che interpreta deve ogni volta rivivere in prima persona le emozioni del suo passato che gli ricordano quelle del personaggio che interpreta. Questo è un processo che aiuta ad immedesimarsi totalmente nel personaggio per regalare al pubblico delle emozioni autentiche, un’energia impalpabile che si può percepire solo negli spettacoli dal vivo appunto perché gli attori sono a pochi metri dal pubblico. Senza dubbio avere tutti gli occhi puntati su di sè è una grande emozione ma allo stesso tempo vivere così intensamente tutte le emozioni è qualcosa che ti mette duramente alla prova psicologicamente
C’è un brano musicale che ti emoziona particolarmente quando lo canti? Uno che ti mette allegria quando magari sei un po’ giù? E se dovessi consigliare un brano per fare innamorare?
Un brano che contiene un’emozione incredibile è senza dubbio “Che gelida manina” dalla Boheme di Puccini. Per me cantarlo è una scarica di adrenalina, non solo per la bellissima musica, il testo e l’atmosfera commovente, ma perché è un brano che per tutti i tenori rappresenta un punto d’arrivo per una completezza tecnica: c’è il legato, gli accenti drammatici, la dolcezza, il forte, il piano, le note gravi fino ad arrivare al famoso do di petto. Una nota estrema che, una volta conquistata attraverso anni di studio, è un piacere immenso condividere con il pubblico. La carica emozionale dell’aria è un crescendo che porta a questo acuto che tutti aspettano.
Un brano che io uso sia per riscaldare la voce che quando ho voglia di tenere la voce leggera è “I can’t help falling in love with you” e devo ammettere che le volte in cui l’ho cantato accompagnandomi al piano o alla chitarra per qualche ragazza il risultato è sempre stato positivo…
Hai dei concerti che ti sono particolarmente cari?
Un concerto che porterò sempre nel cuore è la cerimonia di premiazione del concorso Bibigul Tulegenova. Ero in Kazakistan per partecipare a questo importantissimo concorso in cui vinsi sia il Primo premio che il Grand Prix. Ho ricevuto un calore incredibile da parte del pubblico Kazako e per questo sono stato invitato spesso a cantare nei teatri più importanti del Kazakistan (Astana e Almaty) e anche come ospite in varie TV nazionali.
A Brescia hai cantato molte volte, diciamo che sei un po’ di casa.
Brescia è una città affascinante. Ho cantato per la prima volta molti anni fa alla festa dell’opera quando ho anche conosciuto Nicola Bianco Speroni che era amministratore del Festival Pianistico Internazionale di Brescia e Bergamo, lo considero un amico e lo stimo molto per tutto quello che fa per la musica e l’arte in generale a Brescia. Cantai alcune arie dal tetto del Teatro Grande e vedere tutta la folla radunata in piazza per ascoltarmi fu un’emozione immensa. Successivamente fui chiamato per inaugurare un’altra Festa dell’Opera insieme alla mia fidanzata con un concerto alle 6 del mattino e l’anno successivo ho debuttato nella stagione del Teatro Grande di Brescia con il ruolo di Fenton in Falstaff: altra emozione stupenda in uno dei teatri più belli d’Italia. Spero di tornare presto a cantare a Brescia e per ritornare a visitare il nostro caro amico pianista Alessandro Trebeschi a Carpenedolo dove io e la mia fidanzata abbiamo dei ricordi bellissimi legati al nostro primo anno insieme.
Nell’immaginario più diffuso del cantante lirico tu sei particolarmente atletico, come ti mantieni in forma?
Da ragazzo ho sempre praticato molto sport e ho anche lavorato come istruttore di fitness, per questo anche negli anni successivi ho sempre cercato di tenermi in forma. Inoltre sto seguendo la dieta del digiuno intermittente, visto che mi sveglio sempre molto tardi pranzo direttamente verso le 13, poi merenda e in fine cena verso le 20.30 ovviamente cercando di favorire verdure e proteine.
Esiste una qualche correlazione fra la potenza della voce e la prestanza fisica?
In alcuni casi la prestanza fisica può essere controproducente per la potenza vocale. Potrebbe sembrare un ossimoro ma le corde vocali e tutto l’apparato vocale in generale funziona meglio in una situazione di calma e rilassatezza che deve però allo stesso tempo essere controllata energicamente. Si tratta di un delicatissimo equilibrio. La muscolatura addominale e intercostale, che è responsabile dell’emissione del fiato che si trasforma in suono, se è troppo attiva e rigida può causare un’eccessiva pressione sottoglottica (in gergo “spinta”) può portare a un sovraccarico dell’organo vocale e non certo a un aumento di volume, anzi. Quello che in realtà aiuta la potenza vocale sono le casse di risonanza, sia quelle toraciche sia quelle del viso. Questo è il motivo per cui le persone che hanno una struttura ossea importante tendono ad avere voci più drammatiche e risonanti. Ovviamente le persone con una struttura ossea più massiccia riscontra più difficoltà nel controllare il peso, da qui il mito che i cantati sovrappeso avessero più voce. Un fondo di verità quindi c’è in questo mito ma è riposto nella struttura ossea e non nel grasso in sé.
Scusa la banalità ma quando sei in auto che musica ascolti?
Quando sono in auto utilizzo il tempo per ripassare le opere che devo debuttare in futuro, specialmente quelle in lingue complicate come il tedesco e il russo. Mi preparo dei file audio ordinati dove suono con pianoforte le parti musicalmente più complicate in modo da memorizzarli più facilmente.
Lavorativamente parlando voi artisti siete quelli che hanno sofferto di più la pandemia.
Come hai vissuto questo periodo?
E per il prossimo futuro che programmi hai?
La prima produzione che mi è stata cancellata è stata la Boheme al Teatro Verdi di Trieste.
Subito dopo la notizia, la sera stessa iniziai a guidare verso Vienna (dove vivo attualmente) per cercare di varcare la frontiera prima che venisse chiusa ed ebbi la netta sensazione che qualcosa di epocale stava accadendo, come se quel modo di vivere conosciuto fino ad allora stesse cambiando. In questo periodo mi sono dedicato ad alcuni progetti che non avevo avuto il tempo di sviluppare prima. Ho scritto un adattamento per bambini dell’Elisir d’Amore intitolato: “L’Elisir d’ amore fra i banchi di scuola”. In me è sempre stato fortissimo il desiderio di regalare ai ragazzi la possibilità, che io non ho avuto, di conoscere il mondo dell’opera attraverso iniziative culturali che nel nord Europa rappresentano la normalità Se poi avessi la bacchetta magica il mio sogno sarebbe debuttare al Metropolitan Opera.
