A Brescia una novità assoluta nell’intero panorama musicale Italiano.
È assolutamente inusuale, nella tradizione cameristica, che i timbri del clarinetto, del saxofono, del fagotto e del clarinetto basso si uniscano alla ricerca di nuove sonorità e senza esclusione di generi, dalla musica barocca alle sperimentazioni dedicate specificatamente per il gruppo, passando per il jazz, il blues, la musica popolare e altri generi. Quadrophobia è un quartetto di fiati tutto bresciano formato da Daniel Roscia – Clarinetto, Carlo Barbieri – Saxofono, Mattia Rullo – Fagotto, Stefano Giacomelli – Clarinetto basso.

Siete tutti molto giovani possiamo darci del tu?
Certamente! Per noi è un piacere ed una grande occasione quella di poter scambiare impressioni con voi.
Come vi siete conosciuti e come è nata l’idea di questo quartetto inusuale?
Per lo più ci siamo conosciuti in realtà bandistiche e orchestrali della zona del bresciano e bergamasco, situazioni appunto concertistiche o d’insegnamento in scuole di musica in comune. Già dal nostro nome si evince una “Phobia”, ma di che cosa? Esattamente la paura del non sapere effettivamente come potesse suonare questa ensemble di strumenti così insolita; in realtà poi sin dalla prima prova capimmo che poteva essere una soluzione vincente per un determinato tipo di repertorio. Dalla sinergia dei componenti ne uscirono le caratteristiche primordiali di ciò che effettivamente ora è il quartetto.
Voi però avete anche le vostre carriere personali che vi vedono impegnati con importanti Orchestre Sinfoniche e di Fiati del panorama nazionale.
La nostra attività musicale personale spazia oltre al quartetto nelle più svariate forme. Per esempio Daniel è un concertista e solista affermato a livello europeo che collabora con artisti di primissimo livello mondiale. Carlo ha vinto tanti concorsi solistici. Mattia affianca alla carriera concertistica quella di direttore. Stefano anche lui è direttore di formazioni bandistiche e tra le tante collaborazioni suona persino in un gruppo rock. Diciamo che ognuno nel Quadrophobia porta la propria esperienza per arricchire il percorso musicale che poi andiamo a costruire insieme.
Avete fatto molti concerti con questa formazione? Qualcuno che vi è rimasto particolarmente nel cuore?
Il nostro Stefano tiene un elenco dei concerti…saltando l’anno funesto del 2020 ci apprestiamo a celebrare i 100 appuntamenti. Sicuramente un bel traguardo per la nostra formazione e per come è il panorama musicale in cui ci muoviamo. Ogni concerto ha la sua dimensione, in ogni data c’è qualcosa da ricordare. Pensiamo che l’esperienza del concerto sia qualcosa di unico ed irripetibile, perché ogni momento, ogni data, ogni brano è unico in quel momento. Grazie sicuramente anche a quello che è il rapporto con il pubblico e con le vibrazioni che ci trasmette.
Daniel dicci di te e del tuo strumento.
Che dire…diciamo che non è stato amore a prima vista, o meglio non era ciò che desideravo suonare all’età di 10/11 anni; avrei voluto suonare il sax ma per problemi legati alla mia statura piuttosto esile, mi invitarono a provare prima il clarinetto ed in un futuro poi avrei chiaramente potuto ripiegare sul sax. In realtà poi quando mi assegnarono il clarinetto iniziai ad apprezzarlo mano a mano fino proprio ad amarlo nel periodo adiacente al Conservatorio.
E tu invece Carlo?
Anche per me la scelta dello strumento non è stata immediata: ricordo che inizialmente ero attratto dall’oboe e dal violino. Poi alla scuola di musica mi hanno presentato il saxofono e nel mio caso posso dire sia stato proprio amore a prima vista, o meglio a “primo ascolto”. A 11 anni ho iniziato a studiare alla scuola della banda di Manerbio, a 15 mi sono iscritto al Conservatorio Luca Marenzio di Brescia e da questi primi passi ho intrapreso un lungo percorso di studi tra la il repertorio classico e il jazz. Un percorso che mi piace pensare sia ancora in gran parte da percorrere.
Mattia il fagotto è proprio uno strumento poco conosciuto. Cosa ti ha affascinato?
Inizialmente anch’io, come Daniel, avrei voluto in realtà studiare il saxofono. L’incontro con il fagotto è, per la maggior parte dei musicisti che hanno la fortuna di suonarlo, totalmente fortuito e così è stato anche per me. Probabilmente, se dovessi scegliere oggi che cosa suonare, la mia scelta ricadrebbe proprio sul fagotto, uno strumento incredibilmente versatile, che definirei “lunatico”: il timbro profondo o grottesco del registro grave si concilia sorprendentemente ad una natura più dolce e lirica nel registro acuto, facendone davvero uno degli strumenti dal timbro più complesso e affascinante.
Stefano qual è il tuo ruolo nel quartetto?
Innanzi tutto…quello di clarinetto basso! La mia “voce” tendenzialmente è quella che lavora sulla struttura armonica della nostra musica. Oltre a essere musicista nel quartetto, amo pensare agli arrangiamenti per la nostra formazione. Quando sento un pezzo, a volte me lo immagino già suonato da noi. Essendo appunto una formazione “sperimentale”, non esistono brani pronti all’uso o scritti già per questa configurazione di strumenti. Da qui la necessità di “scriversi” la musica che vogliamo suonare. Negli anni abbiamo provato molte soluzioni sonore, ora diciamo che abbiamo raggiunto una certa stabilità ed equilibrio sonoro che ci permette di “immaginare” la musica secondo il nostro stile; da qui nascono poi gli arrangiamenti che lavoriamo insieme durante la prima prova del pezzo specifico. Per chiudere inoltre, io seguo la parte della “comunicazione” del gruppo, soprattutto social. È oramai una cosa di vitale importanza che permette di far vivere ai fan ed ai semplici affezionati quella che è la vita del quartetto.
So che numerosi compositori bresciani vi hanno dedicato arrangiamenti e brani originali.
Sì! È sempre bello vedersi recapitato un brano dedicato alla nostra formazione. Anche per la bellezza di scoprire ciò che un musicista esterno, in questo caso un compositore, vede nelle nostre potenzialità e nel nostro suono. Cimentarsi con un brano originale è sempre qualcosa di molto particolare perché oltre alla propria resa sonora, serve immergersi e capire le intenzioni di chi scrive la musica: siamo i mezzi, gli “strumenti” per poter rendere in musica l’idea di qualcun altro. Per cui…compositori, fatevi avanti!
Anche il vostro disco “In quattro” ha ottenuto notevoli apprezzamenti di pubblico e critica.
L’esperienza di registrazione di “In quattro” è stata sicuramente molto affascinante: venivamo da una piccola tournée nei teatri bresciani e grazie alla lungimiranza di Sergio della Tre Ottavi questi concerti si sono trasformati nel nostro disco. Abbiamo ricevuto tanti commenti positivi al lavoro, sia da gente comune che dalla critica giornalistica. Forse il commento più “speciale” è stato quello ricevuto dal compositore Mike Curtis che sentendo la nostra versione del suo “Klezmer” ci ha fatto i complimenti per come la nostra sonorità avesse centrato in pieno lo spirito del brano. Il disco “In quattro” è tuttora disponibile sugli store digitali europei e all’ascolto sulle piattaforme musicali di streaming più conosciute al mondo…tra l’altro il prossimo anno compie dieci anni, chissà se ci sarà occasione di fare un concerto celebrativo!
Ho partecipato ad un vostro concerto intitolato: “L’emozione del Tango”. In effetti è stato molto emozionante.
Il Tango non è solo un genere musicale; è passione, vita, sentimento… e con la musica queste caratteristiche si sposano alla perfezione. Nel nostro format dedicato al tango, trovano spazio diverse tipologie di stili del genere, tra cui le musiche di Astor Piazzolla di cui in questo 2021 ricorre il centesimo anniversario di nascita. Il tango è un genere musicale che si sposa alla perfezione con la nostra formazione; la definiremmo quasi un’esperienza speciale quella dell’ascolto di Piazzolla perché riusciamo a dare un tocco “graffiante” a questo genere.
Ho letto invece che presso la sede di una importante azienda della Valle Sabbia avete suonato in occasione di un galà con i rappresentanti diplomatici americani. Come è stata l’esperienza?
Sì, dobbiamo ringraziare il Comm. Nicola Bianco Speroni, che già ci aveva ospitati a Nuvolera in occasione della Settimana della Musica, per averci voluto in una occasione così importante con tante autorità e rappresentanti di aziende e Paesi stranieri. È stata una bellissima serata e per l’occasione abbiamo pensato un programma che fosse un omaggio ai suoni che hanno caratterizzato l’evoluzione musicale del continente americano, dal musical alla canzone d’autore jazz approdando in diverse fasi al tipico suono del tango argentino e alla musica popolare brasiliana. Abbiamo ricevuto molti apprezzamenti.
L’anno scorso si ricordava l’anniversario della nascita di Federico Fellini, siete riusciti a realizzare il progetto che avevate pensato?
Per questa grande occasione abbiamo studiato un format che lega la musica alle immagini coinvolgendo l’ascoltatore con audio e video. Da qui la realizzazione di un percorso musicale che sfocia in realtà in un omaggio non solo al grande Fellini, ma anche ad altre figure musicali importanti del Cinema Italiano come Carpi, Morricone, Rota, Piccioni, Piovani. La particolarità di questo progetto è che ognuno di noi ha curato un arrangiamento diverso per ogni autore. Il progetto purtroppo ha visto solo il suo primo “vagito” in Provincia di Vicenza prima del secondo lockdown dell’ottobre 2020.
Quest’anno invece si celebra il centenario della nascita di Astor Piazzola.
…e ovviamente noi non ci siamo fatti trovare impreparati! Anche perché Piazzolla, come dicevamo prima, è uno degli autori che più si confà alla nostra formazione e quindi per noi è stato praticamente scontato pensare e proporre un format di concerto dedicato a lui. Non solo per questo motivo, ma per il fatto che la figura di Astor è stata rivoluzionaria, innovativa, in controtendenza. Un po’ come vuole essere il suono della nostra formazione. “Four Winds por Astor” non è solo un omaggio ma proprio un excursus musicale sulla musica di Piazzolla; dalle sue pagine “commerciali” come Libertango, alle sue composizioni più eclettiche come “Adios Nonino”, al suono nostalgico di “Oblivion”, all’arte compositiva di “Muerte de l’Angel”, al sapore della strada di “Street Tango”….insomma, vi aspettiamo a sentirlo!
Anche per Natale avete già una proposta?
Anni fa abbiamo creato, in collaborazione con l’attore Alessandro Davo, una lettura musicale rivisitando il grande classico “Canto di Natale” di Charles Dickens. È stata una bella avventura quella di creare un testo ma soprattutto quella di abbinare la giusta musica rispetto al significato ed alla esposizione del testo. La bravura di Alessandro poi coinvolge lo spettatore nel racconto, la sua recitazione fa convivere in un’unica voce più personaggi. Lo spettacolo ha anche una piccola scenografia che accompagna la narrazione. Insomma, un progetto alternativo ma sempre in stile Quadrophobia. Se tutto va come sta andando, per il prossimo Natale sono previste delle repliche…
C’è un brano musicale che vi emoziona particolarmente quando lo suonate?
Sono tanti, per fortuna! Diciamo che possiamo menzionare “La Muerte de l’Angel” di Astor Piazzolla, brano in forma di fuga e contrappunto dove tutti i nostri strumenti sono coinvolti nella costruzione di questo splendido brano. La verità poi è che ci piace godere a pieno delle emozioni che siamo in grado di costruire insieme durante l’esibizione. Sul palcoscenico cerchiamo di rendere le nostre personalità un tutt’uno per trasmettere quello che proviamo e siamo al nostro pubblico.
Ho letto che la Legerè Reeds, che è leader mondiale e il marchio più conosciuto di ance sintetiche, vi ha arruolato.
Si! È stato un grande onore per noi entrare a far parte di una delle famiglie di artisti più celebri al mondo. All’interno di essa ci sono alcuni tra i più celebri solisti che rappresentano i nostri strumenti. Ancora più bello vedere il nostro lavoro riconosciuto e sponsorizzato da una grande azienda; grazie a loro possiamo provare modelli nuovi di ance ed averne a disposizione per la nostra attività artistica. La nostra formazione è un bel biglietto da visita anche per Legerè: quattro strumenti diversi che possono utilizzare insieme i loro prodotti… cosa meglio del Quadrophobia?
A Brescia c’è una rete molto estesa nei paesi di Bande Musicali che promuovono anche scuole di musica aperte a tutti e di buon livello. Credete che sia un buon strumento per avvicinare i giovani alla musica?
La nostra storia musicale personale inizia dalle bande dei nostri paesi di origine. Nelle nostre vite musicali abbiamo la fortuna di lavorare anche nelle bande, come insegnanti e qualcuno di noi anche da Maestro Direttore. La Banda è un “contenitore sociale” che riesce ad avvicinare generazioni diverse nello stesso spazio. La Banda è luogo culturale che non solo avvicina i giovani, ma che li fa vivere in ambienti ricchi di cultura e socializzazione. È una “società ideale” dove esprimere i propri valori e le proprie ambizioni.
Cosa si potrebbe fare di altro e di più?
Sarebbe importante che i “piani alti” valorizzino le attività e che le stesse vivano di una regolamentazione legislativa quali enti formativi riconosciuti nel sistema educativo. Purtroppo ancora ai giorni nostri è un ambiente nascosto, che purtroppo non fa rumore. In questi anni di pandemia a maggior ragione le associazioni hanno pagato il prezzo di questo “essere figli di nessuno”. Le istituzioni italiane non ricordano che la tradizione musicale italiana è sopravvissuta negli anni grazie anche alle bande ed alla loro funzione musicale nei piccoli paesi, ma che soprattutto le stesse sono ambienti sociali sani che fanno educazione e cultura a più livelli.
Questa pandemia è veramente pesante sotto tutti i punti di vista. Artisticamente voi come l’avete affrontata?
È stato un periodo molto difficile, forse il più difficile di tutti quelli della nostra vita artistica. Per noi questo periodo è stato tempo di programmazione, lavoro personale per la creazione di nuovi progetti quali ad esempio quello dedicato al Cinema Italiano. Oltre a questo, ne abbiamo approfittato per sistemare la promozione, creare arrangiamenti… insomma abbiamo ottimizzato nel limite del possibile il tempo. La tecnologia ci ha aiutato a non perderci, ci siamo incontrati virtualmente tante volte. Tra le tante cose anche noi abbiamo realizzato un video “a distanza” sulle note di “Palladio” di Jenkins. Diciamo che è stata un’esperienza molto strana, seppur motivante, ma anche unica perché crediamo che il nostro luogo musicale sia il palcoscenico.
Se aveste la bacchetta magica cosa vorreste per il vostro futuro artistico?
Beh, innegabile che ci piacerebbe avere più occasioni di concerti, perché no, anche per grandi occasioni. Magari una tournée europea…Sogni ne abbiamo molti, siamo fiduciosi che il seminato di questi anni possa riservarci ancora tante belle soddisfazioni artistiche ed umane.