“Quando hai il fuoco dentro”

Una carriera brillante forte di 77 Gran Premi disputati e un glorioso quarto posto, nel 1989,  al Gran Premio di Monaco come miglior risultato. Alex Caffi ripercorre le tappe della sua vita, dal ricordo ancora vivido e intenso di papà Angelo ai suoi grandi e adrenalinici successi sino alla Alex Caffi Motorsport  l’evoluzione di una carriera indelebile.

Parlami della tua infanzia e dei tuoi esordi…

Nasco letteralmente nel mondo dei motori.Mio padre Angelo, fu uno dei primi piloti bresciani a correre gare molto importanti, una su tutte fu proprio il Rally di Montecarlo nel 1969 disputata insieme a suo fratello che gli faceva da navigatore.Fu il pioniere dell’automobilismo bresciano che “masticò” motori non solo per passione ma anche nella sua officina con rivendita di pneumatici.In realtà tutti e tre i suoi fratelli appartenevano a quella sfera e con grande orgoglio posso confermare che nei Caffi c’è sempre stato un DNA consacrato ai motori.  Una passione quasi fisiologica che mi accompagnò sin da bambino, sempre a contatto con le automobili in officina e con quella passione viscerale ormai “di casa”.A soli 12 anni papà mi insegnò a guidare la sua auto nel piazzale, ma la mia prima vera esperienza fu nel motocross a soli 7 anni.Il mondo del motocross, nei primi anni ’70, rappresentò l’esordio, quella circostanza che mi vide impegnato nelle prime gare in Piemonte, dove si disputavano i campionati. A 16 anni vinsi il campionato italiano dei giochi della gioventù correndo insieme a quei piloti poi arrivati al mondiale, uno per tutti Pirovano. In un certo senso la mia carriera era già scritta ma la passione per le quattro ruote mi suggerì di abbracciare nuovi orizzonti.Grazie ad una fortunata congiuntura riuscii a convincere mio padre ad acquistare un Go-Kart, un po’ contro il volere e le aspettative di tutti. Mi affidai a Luigina Guerrini, campionessa del mondo, che mi insegnò i primi rudimenti. E fu così che una donna mi insegnò a guidare.Dopo soli quindici giorni di allenamento partecipai alla mia prima gara a Rezzato, sotto il diluvio universale, classificandomi al primo posto dinnanzi allo sbalordimento dei miei famigliari.Da quel momento finalmente riuscii a conquistare la loro fiducia, sorprendendoli e delinenando un futuro ricco di nuove aspettative. Partecipai a pochissime gare passando subito alle auto con motore motociclistico. Iniziai a correre sui circuiti italiani più importanti, Mugello, Monza, Varano e così via per poi passare alla Formula Fiat Abarth, la categoria promozionale dell’epoca, una vera fucina di talenti che diede i natali a campioni come Nannini e Pirro.Corsi per due stagioni vincendo il Campionato Italiano Under 23 e classificandomi secondo nell’assoluto, episodio che aprì le porte alla Formula 3.L’aiuto di mio padre e di alcuni amici, sempre pronti a sostenermi, caldeggiò sostanzialmente il mio successo. Iniziai così la prima stagione in Formula 3 ottenendo brillanti risultati Da debuttante vinsi quattro gare lottando fino all’ultimo per il titolo italiano. Arrivai secondo e grazie a questo podio passai al Team Coloni che, successivamente arrivò in Formula 1, tra l’altro, con una propria vettura. Ottenni grandi risultati conquistando un secondo posto nel campionato italiano e vincendo la Coppa Europa in prova unica con pole position, giro più veloce in gara e infine, la meritata vittoria. Un successo talmente importante da concedermi la superlicenza per la Formula 1 poichè all’epoca, diversamente da quanto accade oggi, veniva assegnata unicamente in base ai risultati ottenuti in gara. Purtroppo, il mondo delle corse, essendo strettamente legato ad un fattore economico non mi permise di compiere da subito quel grande salto tanto desiderato in Formula 3000 e fui costretto a rifare il Campionato di Formula 3 classificandomi secondo nell’europeo e terzo nell’italiano.Nell’86 si presentò l’opportunità di partecipare al mio primo Gran Premio con Osella a Monza perchè mancava uno dei due piloti. In quella circostanza mi classificai undicesimo e primo tra gli italiani in gara. L’anno successivo venni nuovamente ingaggiato da Osella e da quel momento si aprirono tutte le porte.

Quella era diventata la tua professione?

Sì esattamente, quando firmai per la prima stagione nell’87 quella passione straordinaria divenne un obiettivo certo e quindi una vera professione. Seguirono 5 stagioni in Formula Uno, con Osella, il primo anno e con le Dallara iscritte dalla Scuderia Italia nei due anni successivi, anni fantastici costellati da grandi risultati. Passai poi ad Arrows un team molto importante. Porsche ci sostenava ufficialmente ed ebbi la possibilità di correre al fianco di un grande compagno di squadra, Michele Alboreto. Quel momento avrebbe dovuto rappresentare la consacrazione definitiva ma purtroppo ebbi la sfortuna di incontrare il peggior motore Porsche di sempre che affossò il progetto.Sono un ottimista di natura e guardando il bicchiere comunque sempre mezzo pieno osservo il mio passato con grande soddisfazione. Arrivare da un piccolo paese di provincia e riuscire a coronare un sogno di bambino così ambizioso non è sicuramente da tutti. Proprio grazie a tutti questi grandi traguardi non posso che non ritenermi estremamente soddisfatto della mia vita da pilota. 

Adrenalina o testa, cosa vince quando sei in pista?

Dipende dai piloti, c’è chi ci mette più cuore e chi più testa ma resta indubbio che il coraggio ce lo devono mettere tutti. Diciamo che con un giusto bilanciamento ottieni il pilota perfetto. Ai miei tempi, la dose di coraggio era pertanto necessaria, non si correva con le auto di oggi sostenuti da tecnologia e sicurezza, vivevamo in un contesto certamente più impervio ma estremamente vero. 

Come è cambiato il mondo della Formula 1 rispetto a quando correvi tu?

É un altro sport rispetto a quello che facevamo noi. Pensa che lo scelsi proprio per quella dose di rischio e di imprevedibilità. Se togli questa parte di incognita e di azzardo snaturi quello che ho amato con tutto il cuore. Oggi i piloti usano sicuramente molta più testa ma l’adrenalina non deve mai mancare un’emozione che comunque ti accompagna sempre. In fondo ti stai sedendo su una Formula 1.

Nei minuti che precedevano una competizione cosa facevi? Avevi un rito scaramantico?

No non sono mai stato un tipo scaramantico. L’unica cosa che ho sempre fatto e che faccio tutt’ora è salire sempre dalla parte sinistra proprio come i vecchi cowboy.

Che tipo di aria si respirava nel mondo della Formula 1 negli anni ’80 e ’90?

É sempre difficile giudicare i tuoi anni migliori, rischi di sembrare, agli occhi degli altri, il vecchio pilota nostalgico. Mi sembra di ricordare proprio Niki Lauda o Keke Rosberg e tanti altri quando commentavano le loro glorie. Gli anni ’80 e ’90 hanno rappresentato senza dubbio gli anni dorati della Formula 1 e per me quei 5 anni hanno rappresentato il valore di una vita intera. Del resto in quel periodo in Italia si viveva bene, lontani da crisi e preoccupazioni, navigavamo in un certo benessere e questo particolare panorama socio-economico rendeva sicuramente anche il clima sportivo molto più sereno.Anche il lato umano delle persone appariva meno graffiato da stress e preoccupazioni disegnando rapporti più autentici, più leali.Nei motorhome si socializzava, ci si invitava a cena, si chiacchierava amichevolmente di continuo e se nasceva un contrasto lo si risolveva all’istante. Un clima differente da quello che osservo oggi. Ho avuto anche la grande fortuna di vivere queste esperienze insieme agli amici d’infanzia che da Rovato mi accompagnavano alle varie gare standomi accanto e infondendomi quella serenità che solo chi ha vissuto l’infanzia con te sa trasmetterti. Eravamo dei vent’enni in mezzo ad un mondo dorato esposti senza dubbio a tante tentazioni e pericoli, esperienze che ci hanno formato in maniera esponenziale rispetto a giovani della nostra età che conducevano vite normalissime.

Dopo la Formula 1?

Trascorsi un periodo di profonda disillusione, percepivo che qualcosa stava cambiando. Per due anni mi diedi letteralmente all’ippica. Acquistai un cavallo e mi dedicai a lui. La passione per i motori non era comunque contenibile e dopo poco nacque quella che amo definire la mia seconda carriera. La Opel mi chiamò in Spagna per partecipare ai test. Nel 1995 venni ingaggiato per la stagione insieme a Jordi Gené fratello di Marc Gené e sino al 2013 rimasi nel mondo delle corse. Quelli per me rappresentarono anche gli anni delle sperimentazioni e mi dedicai un po’ a tutte le specialità dell’automobilismo, corsi con le GT, con i camion, partecipai alle gare in durata, a molti rally, desideravo capire realmente quali fossero le differenze e le difficoltà. Fu un periodo molto interessante. 

Parlaci della Alex Caffi Motorsport

A cinquant’anni capii che era arrivato ahimè il momento di fermarsi e comunque di allontanarmi da quella prima linea per pensare a cosa avrei voluto fare da grande.Dopo vari propositi, progetti e meditazioni, assolutamente consapevole che la mia vita poteva appertenere unicamente al mondo dei motori decisi di fondare la mia scuderia, la Alex Caffi Motorsport. Sai, Confucio, molto tempo fa disse: “Scegli il lavoro che ami e non lavorerai mai, neanche per un giorno in tutta la tua vita”, ecco, è stato quello che è successo a me. Tutti i giorni mi sveglio alimentato da un grande entusiasmo, quella dedizione incontenibile che risponde perfettamente a ciò che so fare meglio nella vita, la mia più grande passione. Sono entrato nel mondo della NASCAR Whelen Euro Series, una serie ufficiale NASCAR per vetture stock che si disputa su tracciati europei, in realtà poco conosciuta, con l’aiuto di Villorba Corse, il team con il quale vinsi il campionato italiano GT con la Ferrari. 

Come sei riuscito nella vita a rispondere e  alimentare sempre le tue passioni?

Sicuramente grazie all’entusiasmo e al profondo amore per questo sport.Non nego di essere stato anche fortunato in passato trovandomi nel posto giusto al momento giusto. C’è un altro aspetto però da non sottovalutare che delinea molto il mio carattere. Ho sempre cercato di affrontare la vita con grande lealtà e attraverso un atteggiamento sereno e onesto. Probabilmente questo ha saputo premiarmi spalancando un futuro colmo di rapporti fidati e di persone che ogni giorno mi dimostrano riconoscenza e benevolenza. Oggi ricopro il ruolo di team manager ma ci tengo moltissimo a citare anche la “Squadra Corse Angelo Caffi” nata per volere di mia sorella in ricordo di mio padre purtroppo mancato nel 2011.La Squadra Corse Angelo Caffi che si occupa di piloti bresciani, attualmente corre nel campionato italiano con la BMW M2 e con la Tesla nell’unico campionato elettrico per macchine turismo. É stato importante per me lavorare in questo senso per dare continuità a quello che siamo stati, per primo mio padre, insieme ai miei zii e poi sicuramente a quel contributo erede delle mie vittorie.

Obiettivi a medio e lungo termine?

Lo scorso anno, dopo tanti, tantissimi tentativi, finalmente sono riuscito a riacquistare la mia Formula 1, proprio quella con cui conquistai il quarto posto a Montecarlo. Ora è nelle mani dei miei ex meccanici con l’obiettivo di riallestirla per poi definirla in Dallara.L’obiettivo, dal momento che ci sarà la possibilità (ora non rientra ancora nella categoria perchè ancora giovane), è quello di riportarla al Gran Premio storico di Montecarlo e ripercorrere insieme a lei le stesse emozioni del 1989, proprio là dove ottenni il miglior risultato e dove vivo da oltre 35 anni insieme alla mia famiglia. 

I tuoi figli hanno proseguito le tue orme?

La passione per il mondo dei motori appartiene anche a loro. Il primo, quello più grande, si è messo in gioco con l’Alex Caffi Motorsport, segue le gare e le nostre attività, il “piccolo” è un grandissimo appassionato di Judo e proprio tra pochi giorni partirà per Parigi per partecipare ad uno stage molto importante. Frequenta una scuola molto famosa a Monaco e sta ottenendo ottimi risultati. Lo sport ha sempre fatto parte della nostra vita, è il DNA dei Caffi.

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