Rosario Rannisi

“non voglio parlare di ciò che sono stato ma di chi sono ora, l’unico personaggio della mia vita”Una chitarra in mano e una spunta blu su Instagram. 

Ma chi è Rosario Rannisi oggi? Leggendo il suo nome sui social ed entrando nel suo profilo @michiamorox ciò che più si evince è quella intensa voglia di musica, di palcoscenico e di calore con le persone, uno scenario che dopo quasi vent’anni annebbia quel retaggio mediatico che nel 2006 lo elesse tra i più amati tormentoni televisivi italiani, forte di un’energica partecipazione ai reality più famosi d’Italia. 

Oggi Rosario Rannisi è musica ed è “bresciano”

Qual è stato il tuo background? 

Chi è Rosario Rannisi oggi?

Vorrei fare una prefazione. 

La musica è sempre stata l’unico impulso e movente di ogni mio passo nel mondo dell’entertainment televisivo e non. Mi sono “sfamato” di musica sin da bambino e non sono diventato musicista sfruttando la facile “apertura” di qualche porticina. 

A soli quattordici anni, nella mia Catania, iniziai per diletto a muovere i primi passi come musicista, improvvisandomi, insieme ad alcuni amici, in una vera e propria “cover Band” o meglio “garage band” perché si suonava il sabato pomeriggio nel garage di casa. In quegli anni la musica scandiva ogni mia passione come per molti giovani può essere lo sport, lo svago o altri hobby. Divenni grande con la musica accrescendo gradualmente la mia preparazione con l’obiettivo, un domani, di emergere come cantautore. Nel 2004 a 26 anni si presentò alla mia porta l’opportunità di partecipare ad una delle primissime edizioni del Grande Fratello, all’epoca un tormentone non da poco, capace di catapultare la normalità di ragazzi della porta accanto a veri e propri fenomeni via cavo. Furono i miei cugini bresciani a caldeggiare particolarmente la mia partecipazione considerandola un’occasione col vento in poppa per poter affermare ogni mia inclinazione consacrata alla musica. All’epoca tutti i talent di oggi purtroppo non esistevano e le occasioni per un cantautore si traducevano in tempi d’attesa piuttosto lunghi e veri e propri colpi di fortuna. L’unico reality dell’epoca era “Saranno Famosi” la versione âgée di “Amici di Maria De Filippi” un programma che però dimostrava una certa rigidità sull’età dei partecipanti. Partecipai quindi al Grande Fratello e poco dopo alla Fattoria, conquistando popolarità, tra i ragazzi e tra le famiglie divenendo ben presto il Rannisi del GF e non il cantautore con un ambizioso sogno nel cassetto. Seguirono gli echi di un successo già scritto, le ospitate nei maggiori programmi tv, nei locali di tutta Italia ma tutte occasioni performanti per il personaggio e non per il musicista, ancora taciuto e poco considerato. In quel periodo molti furono gli incontri “preziosi”, circostanze che però mi lasciarono un pugno di delusione fra le mani e che, con un notevole pregiudizio, giudicarono a priori il mio forte desiderio di fare musica come un’ambizione spropositata per un semplice concorrente di un reality televisivo. Atteggiamenti che, dal punto di vista meritocratico, trovai folli. Partecipai al Grande Fratello alla ricerca di un’opportunità, nell’incoscienza più totale, ma dovetti presto imparare a lavare quella coscienza televisiva, che selvaggiamente mi bollò, e ricostruirmi un nuovo personaggio.

Cosa vuol dire uscire dalla casa del Grande Fratello?

Non fraintendetemi, stare dentro la casa del Grande Fratello è stata un’esperienza straordinaria, una cosa davvero incredibile. All’epoca poi, nelle prime edizioni, quelle senz’altro più fortunate, il pubblico “abbracciava” con un certo calore i personaggi idolatrandoli per certi versi e comunque affezionandosi moltissimo. Sono esperienze con grandi pro e con qualche contro. I pro derivano dal grande eco mediatico che si produce fisiologicamente intorno al tuo personaggio, i contro invece provengono da quei “millantatori” che ti girano intorno che, invece di cogliere i tuoi lati migliori, ti infliggono quelle “pugnalate” indimenticabili. Ed è cosi che quella pseudo “operazione di lancio” si trasformò in un’arma a doppio taglio. Molti miei “colleghi” del Grande Fratello, ad esempio, ebbero opportunità più interessanti. Tommy Vee ad esempio, all’uscita della casa, proprio sul famoso tappeto rosso, venne accolto da un’enorme consolle sulla quale, in diretta televisiva, iniziò a improvvisare i suoi pezzi. Divenne quindi il DJ e non il concorrente. Ecco io non ebbi tutta quella fortuna. 

Un’altra esperienza, a conclusione dei vari reality, che ricordo con grande soddisfazione, fu uno spettacolo teatrale insieme a Gerardo Amato, il fratello di Michele Placido. Un recital “Little Italy party” che ci vide complici di uno spettacolo incredibile nell’impersonificazione di un Frank Sinatra maturo, interpretato da Gerardo e un Frank molto giovane che interpretai io stesso. Un progetto che mi lascò un ricordo bellissimo.

Come sei approdato qui a Brescia?

Dopo quattro anni di esperienza a Milano decisi di avvicinarmi alla mia famiglia bresciana. I miei cugini bresciani, infatti caldeggiarono particolarmente il mio trasferimento considerando questo territorio, per la sua verve e la sua “apertura”, un teatro di opportunità probabilmente più appetibili.

Milano in un certo senso ti “inghiotte” troppo, è un luogo troppo vasto e Brescia avrebbe sicuramente potuto accompagnarmi nel mio percorso musicale con più rilassatezza e concretezza. I bresciani poi sono meno impazienti, sono più attenti e riflessivi, possiedono più lungimiranza sul business e soprattutto sul “fare”. Da quell’istante iniziai a rimettermi in carreggiata, da solo con le mie forze. 

Le precedenti esperienze milanesi, nell’incandescenza di una carriera tutta buttare su un piatto, mi condussero anche ad intraprendere scelte musicali non sempre condivise, un esempio fu l’incisione un intero album in lingua inglese, perché commercialmente avrebbe potuto rendere di più. Tutte esperienze che poi si persero in un bicchier d’acqua.

In quegli anni iniziai ad analizzare cosa accadeva nei locali, quali artisti suonavano, quali band tenevano la scena e con tanta voglia di riscatto e consapevole delle mie capacità decisi di provarci in un “terreno” piuttosto scarso e poco attraente in base alle mie aspettative. Vedevo band sul palco che non sapevano muoversi, incapaci di interagire con il pubblico, cantavano le loro canzoni e poi “tanti saluti e arrivederci”. Io avevo in mente uno spettacolo, il mio spettacolo, reso complice da ottima musica e un rapporto stimolante con il pubblico. Da quel momento iniziò la mia vera gavetta, quella che mi condusse a suonare in moltissimi locali della Lombardia e del bresciano.

Ricordo con grande “tenerezza” i primi spettacoli, in locali “affollati” da un pubblico non più giovane. Suonavo imperterrito il mio repertorio che dal classic Rock spaziava al melodico, mentre una platea di “vecchietti”, a volte un po’ alticci, fissavano unicamente il mega schermo con la partita. Immaginate il mio stato d’animo, credetemi feci di tutto per stimolarli ma niente… a loro di me e della mia musica non gliene poteva fregare di meno. Questa è stata la mia gavetta è stato necessario senza dubbio costruire una grande forza interiore.

Fu proprio quel momento a suggerirmi un nuovo e grande obiettivo, quello di coinvolgere e oggi chi mi ingaggia per uno spettacolo mi sceglie anche per questa mia propensione.

É importante per te, oltre che ad essere un bravo cantante, essere un grande show man?

Si è importante è una dote che devi possedere ma che devi anche imparare a costruire. Ci sono tanti colleghi musicisti, fenomenali con grandissime capacità, ma con poca verve sul palco, incapaci di interagire con il pubblico. Oggi coinvolgere è importante, a me piace fare show ma senza derive, senza pagliacciate, mi piace affascinare ma con la musica, in maniera elegante e pulita. 

Amo portare avanti lo show senza interromperlo anche se si presentano delle avversità del mestiere e… se si rompe una corda, io proseguo e concludo il mio spettacolo.

Sempre in quel periodo ebbi la possibilità di conoscere l’ufficio stampa dei Nomadi e Beppe Carletti il quale, dopo aver ascoltato alcuni dei miei pezzi, mi chiese di aprire alcuni dei loro concerti durante il tour estivo. Era il 2015 e con grande soddisfazione aprii i concerti di uno dei gruppi più amati d’Italia, senza dubbio il più storico, partecipando alle sette date in giro per l’Italia.

Ed ecco che la mia esperienza sui palchi dei maggiori locali del bresciano si catapultò dinnanzi a 3000 persone a serata in un tour estivo che toccò l’intero stivale, non vi posso spiegare l’emozione. Davanti a me c’era un grande pubblico al quale necessariamente dovevo dare il massimo perché in quella circostanza non stava ascoltando me ma si stava distraendo aspettando i grandi Nomadi. Pensa che parte di quel pubblico, che poi mi cercò e iniziò a contattarmi sui social, mi segue tutt’ora. Da quella circostanza iniziai davvero a sperare nel grande salto a livello cantautorale, ipotesi che non si coronò a breve ma che mi convinse ben presto che quelle partecipazioni non sarebbero di certo bastate senza una una buona rete di conoscenze pronta a sostenermi.

Dovetti accontentarmi facendo quasi un’assunzione di consapevolezza e cominciai a lavorare sulla mia tipologia di spettacolo e di repertorio. Oggi come oggi posso fieramente ribadirti di essere uno tra i pochi artisti italiani, chitarra e voce, più quotati, presenti nel mio segmento musicale. Prima che il Covid spezzasse questo comparto, ferocemente assalito da una profonda crisi, giravo l’Italia sostenuto da un calendario fitto di spettacoli ed eventi senza dimenticare la mia presenza durante l’estate al Rigatoni di Formentera, locale simbolo per la mia tipologia.

Il tuo rapporto con Brescia?

Amo questa città. Ho suonato al Mariuccia, al Vita Privè e in altri locali. Proprio di recente invece, iniziai una felice collaborazione con Atena Restaurant, suonando durante il brunch, esperienza che purtroppo si spense per i motivi che, con una grande pandemia in essere, tutti conosciamo. 

Aspettiamo, che dobbiamo fare?

Le dinamiche oggi giustamente mettono davanti obblighi che con il coinvolgimento e con lo spettacolo fanno un po’ a pugni. Il distanziamento, il non poter ballare, l’impedimento di poter organizzare tavolate diviene un importante freno a mano sulla tipologia di serate che ho da sempre guidato e spero che presto tutto possa tornare a quella normalità a cui eravamo abituati.

Come stai affrontando questo periodo?

Non sto facendo più pronostici, dal momento che con certezza so che si aprirà inizierò a lavorare verso i miei obiettivi. La sera quando vado a buttare la spazzatura sotto casa, verso mezzanotte, mi faccio la mia passeggiata “evasiva” intorno al palazzo, quello è uno dei momenti che mi rigenera di più. Assaporiamo quelle piccole cose che un tempo quasi ci disturbava fare. Sto vivendo questo lockdown felicemente appagato dal calore della mia compagna e di mia figlia, nata un mese e mezzo fa, un momento straordinario, un immenso privilegio per me.

Cosa canti a tua figlia?

Le ho sempre fatto ascoltare musica classica, in primis perché sono un grande appassionato e poi perché lo ritengo un genere perfetto per un neonato. Le canto però tutto il mio repertorio, dai Metallica a musica “leggerissima”, con la chitarra acustica suono l’intro di “Nothing Else Matters” un brano ideale per un neonato (e ride) sull’arpeggiato andante.

Mi sono divertita a leggere i tuoi post su Instagram durante Sanremo?

Diciamo tanta scena poca resa?

Sì, mi sono particolarmente divertito insieme alla mia compagna. Sanremo sta cambiando. Deve essere la canzone a vincere senza dover correggere la mira su altri dettagli, come look o varie enfatizzazioni, va bene il personaggio ma fino ad un certo punto.

I Kiss hanno fatto la loro storia e ci sta, ma lo spettacolo sanremese, un’istituzione a livello italiano, deve consegnare al pubblico l’essenza di una grande canzone senza peccare in eccentricità, se così vogliamo chiamarla.

Ognuno poi ha la propria personalità ma è necessario non oltrepassare una certa linea di confine. Mi è piaciuto moltissimo il timbro rock di Noemi, una grande artista. I Maneskin sono più affini a ciò che ascolto io ma mi sono sembrati un “prodotto” un po’ troppo costruito.

Voi artisti come personaggi pubblici avete una grossa responsabilità soprattutto per l’immagine che donate al pubblico…

Oggi ci sono tanti mezzi di comunicazione soprattutto autogestiti e la nostra sì è una grossa responsabilità ma non necessariamente bisogna colpevolizzare ogni singola parola “cantata”. Un tempo il bello e dannato era passabile, molti artisti hanno scritto cose memorabili e un po’ borderline; nelle prime due righe di “Colpa d’Alfredo”, ad esempio, c’è tutto quello che oggi come oggi non potresti nemmeno pensare di scrivere ma che allora rappresentava la normalità, erano modi di dire. Vent’anni fa potevi parlare più liberamente anche nella musica oggi invece devi pesare tutto quello che scrivi. C’è un accanimento pazzesco, stiamo diventando bigotti a livelli esponenziali. Prova a pensare a come sono cambiati nel tempo i nomi delle professioni, una volta c’era il bidello oggi guai a chiamarlo così perché al suo posto troviamo il collaboratore scolastico addetto alla custodia eccetera eccetera eccetera.

La traiettoria si è spostata anche nella libertà di parola, il testo di una canzone è denso di sentimenti proprio come un film ed in un certo senso devono essere concesse anche delle determinate autonomie al fine di sorreggere e sostenere il senso dell’intera canzone. La musica si è un po’ imbigottita, alla ricerca di messaggi sempre più “buonisti” e “puliti”, non è più una forma d’arte libera. Con questo non voglio farmi “padre” di messaggi dannosi e borderline ma, mi piacerebbe tornare alla libertà del passato, priva di formalità. 

Obiettivi?

Gli obiettivi sono legati totalmente alla musica. Non ho obiettivi a breve termine prestabiliti. Domani può nascere qualcosa in grado di disorientarmi per intenderci. L’obiettivone è quello di stare sempre sul palco. Ogni tanto insieme alla mia compagna, che conosce a memoria tutte le mie canzoni, sempre e puntualmente in prossimità del Festival di Sanremo, fantastichiamo su una mia futura presenza. Lei mi sprona tantissimo dicendomi “su quel palco potresti esserci tu” che più che un potresti conserva il sapore di un dovresti. Diciamo però che oggi il mio obiettivo principale è quello di continuare ad evolvermi in quello che faccio raggiungendo livelli sempre più alti, palchi e platee sempre più importanti. Spesso mi chiedono di tornare in tv, ma sono situazioni che non mi attirano, mi piacerebbe essere ospite di un programma tv per parlare di musica, non voglio parlare di ciò che sono stato ma di chi sono ora, l’unico vero personaggio della mia vita

Total
0
Shares
Previous Article

É l'era degli house organ

Next Article

Quelli che benpensano

Related Posts
Processing...
Thank you! Your subscription has been confirmed. You'll hear from us soon.
ErrorHere