Un “Case -History da manuale una “success story” da Oscar aziendal
Non si potrebbe definire altrimenti la storia recente
di un’impresa passata in poco più di tre anni da 109 a 400 milioni di fatturato, con un ulteriore incremento nel bilancio 2022 e un ebitda (l’utile prima delle degli ammortamenti, delle svalutazioni e delle tasse) pari al 44% del fatturato. Un’azienda strutturata, con un team manageriale affiatato e motivato, un know how collaudato e sperimentato da successi la cui rapidità non ha intaccato l’efficienza della gestione, la costante attenzione agli investimenti, alla organizzazione aziendale e innovazione tecnologica, alla formazione e preparazione dei collaboratori. E un invidiabile Welfare aziendale (leggi: responsabilità sociale, non solo sostenibilità economica e ambientale) che da solo potrebbe costituire l’oggetto di una tesi di laurea.

UNA DONNA FUORI DAGLI SCHEMI
Abbigliamento casual e scarpe sportive, semplicità nello stile, empatia nell’approccio, concretezza nelle relazioni interpersonali e nel contempo comprovata competenza nella conduzione di un gruppo imprenditoriale da 1200 dipendenti delocalizzato negli Stati Uniti (California e Puerto Rico), nel Sud-Est Asiatico (Vietnam), in Cina e in Giappone la dottoressa Triva è oggi alla guida di un’impresa al primo posto nel mondo nel comparto dei tamponi. La signora Triva è nota quanto apprezzata per i suoi atteggiamenti diretti, anticonvenzionali e “antimanageriali” e insieme autorevoli, il dinamismo decisionista, il linguaggio immediato, la vivacità del tono, la dimostrata puntualità e la sperimentata professionalità scientifica in materia biomedicale.
BRESCIA NELLO SPAZIO E NEL MONDO
CON I TAMPONI COPAN
Stefania Triva, Vicepresidente Confindustria Brescia con delega all’innovazione tecnologica e allo sviluppo digitale nonchè presidente della Copan, azienda leader nella produzione di tamponi per prelievi antigenici e antipandemici – subentrata nella guida dell’azienda al fratello Daniele, scomparso sette anni fa – è oggi una delle imprenditrici protagoniste della nuova stagione delle “multinazionali tascabili” italiane, sempre più multinazionali e sempre meno tascabili vista la dimensione e la internazionalizzazione raggiunte negli ultimi anni. In Confindustria Brescia è una degli otto vicepresidenti, incaricata dal presidente Franco Beretta di presiedere e gestire il complesso settore della proiezione e delocalizzazione estere delle imprese bresciane, 350 delle quali hanno sedi operative, industriali o commerciali, distribuite in 120 Paesi esteri per un totale di oltre 40mila addetti. Recentemente, promosso da Confindustria Brescia insieme a InnexHUB, si è tenuto un incontro dedicato all’esplorazione della economia dello Spazio attraverso le testimonianze di imprenditori bresciani ed esperti provenienti da Agenzie Spaziali e imprese del settore. Incontro dove la dottoressa Triva ha tracciato, con l’abituale padronanza degli argomenti, l’importanza anche per Brescia di guardare alle opportunità dell’industria dello spazio. Spazio nel senso letterale che nel caso Copan, aggiungiamo noi, diventa una curiosità degna di nota. Quando scriviamo “Brescia nello spazio con i tamponi Copan” intendiamo dire che gli astronauti della navicella spaziale usano per i prelievi i tamponi Copan made in Brescia.

BREVE STORIA DI UNA GRANDE IMPRESA
La Copan è una star delle 1000 aziende Champion censite dalla recente classifica del “Corriere della Sera”. Nel 2018 fatturava109 milioni, più del doppio rispetto a sei anni prima, e ne ricavava profitti industriali del 30%. Aveva già scoperto e brevettato una tecnologia unica nel proprio comparto (microbiologia e genomica) che ne facevano già una realtà tecnologicamente leader. Poi c’è stato l’avvento del Covid, a partire dall’inizio del 2020, e da quel momento tutto il pianeta si è accorto che la Copan di Brescia era la sola azienda al mondo che aveva il know how per produrre i tamponi. E non solo tamponi, dal momento che tra i clienti del Gruppo guidato da Stefania Triva non ci sono solo Stati e sistemi sanitari nazionali ma anche i mitici Ris dei Carabinieri, l’altrettanto mitico Scotland Yard per non dire l’Fbi statunitense. Ma se la pandemia fortunatamente è finita (tre anni è durata, tra incubazione e sviluppo, come prevedevano all’inizio nello scetticismo generale le fonti bene informate) il volume degli affari Copan ha continuato a crescere: 395 milioni nel 2021, rispetto ai 304 milioni del 2020 e 141 milioni del 2019. Con una proporzionale esplosione dei profitti: l’utile industriale è arrivato infatti al 44%, il che ne fa, relativamente alla sue dimensioni produttive, una realtà tra le più capitalizzate d’Italia.
Dottoressa Triva, non la spaventa la incredibile rapidità di crescita degli ultimi tre anni: contate di reggere lo stesso ritmo anche nei prossimi esercizi?
Certo l’insorgenza del Covid in tutto il mondo, Stati Uniti in particolare che era già il nostro principale mercato, ci ha permesso di moltiplicare le dimensioni produttive, ma seppure sorpresi come tutti dalla purtroppo drammatica estensione della pandemia non ci siamo fatti cogliere di sorpresa, avendo alle spalle l’esperienza e le competenze di una realtà imprenditoriale che, grazie alla indimenticata personalità di mio fratello Daniele, era aggiornata tecnologicamente e affermata commercialmente.
E per i prossimi anni?
Nei prossimi esercizi i ritmi di crescita non saranno più così eclatanti, ma contiamo di mantenere ancora apprezzabili incrementi grazie alla ulteriore espansione che stiamo realizzando su nuovi mercati esteri, si veda il Vietnam dove apriamo una sede produttiva per il Sud Est asiatico.
Dall’Atlantico americano al Pacifico indocinese. O meglio all’Indo-Pacifico: la globalizzazione, come si può vedere, per le aziende competitive non si ferma, anche se la guerra russo-ucraina può aver segnato qualche battuta d’arresto. Ma l’insopprimibile forza espansiva dello scambio globale, unica concreta possibile alternativa alla guerra mondiale, una volta risolto il conflitto in corso tornerà a far valere la forza magnetica degli “animal spirits” degli interessi del mercato.
IL FUTURO DELL’UMANITA’
É NELLO SPAZIO”, DICEVA HAWKING
Stefania Triva, nella sua qualità di vicepresidente di Confindustria per l’innovazione e la digitalizzazione, parla dal palco della Sala Beretta di via Cefalonia che ospita l’evento “Da Brixia allo Spazio: viaggio nella space economy”, promosso dall’Associazione in collaborazione con InnexHUB, presieduto da Giancarlo Turati, e con il patrocinio della Camera di Commercio di Brescia, presieduta da Roberto Saccone, e di Punto Impresa Digitale. Un appuntamento gestito dalla stessa Triva e moderato da Cristina Zanini (responsabile Area Sviluppo d’Impresa, Europa e Innovazione di Confindustria Brescia), nel quale sono intervenuti, oltre alla stessa Triva, anche Anilkumar D. Dave, Space Economy Advisor VC Partner, già Head of Technology Transfer Unit della Agenzia Spaziale Italiana; Marco Di Clemente, Head of Technology Unit dell’Agenzia Spaziale Italiana; Michele Castorina, Head of the Φ- lab Invest Office European Space Agency; Nicola Pizzolorusso, Head of Product Marketing di Telespazio; Guido Parissenti, CEO dell’azienda bresciana Apogeo Space; Mauro Nesti, CEO di Ipre (azienda facente parte delle reti d’impresa bresciane Iobo e M’Apperò). Interventi seguiti dai saluti conclusivi di Giancarlo Turati, presidente di InnexHUB.“Un incontro molto interessante – prosegue Triva – che ha fornito una panoramica sull’economia dello spazio e sulle potenzialità associate all’utilizzo di tecnologie spaziali nell’industria (e viceversa), offrendo numerosi esempi concreti di applicazioni spaziali, interessanti sul piano scientifico e stimolanti su quello di una tecnologia le cui straordinarie quanto suggestive conquiste, grazie anche ad astronauti italiani – donne comprese, in particolare Samanta Cristofoletti a tutti nota per il suo contagioso entusiasmo – sono sotto gli occhi di tutti”.
Ma in che modo Brescia può concorrere o competere nella economia dello spazio?
Brescia è un centro economico – spiega Stefania Triva – decisamente importante a livello nazionale, come testimonia il suo contributo al PIL italiano: quale miglior territorio, quindi, per iniziare a parlare di Space Economy? Abbiamo voluto, con questo evento, far avvicinare il mondo industriale a tecnologie apparentemente lontane, cercando applicazioni concrete, per la vita dell’impresa di tutti i giorni.
Ma sentiamo direttamente i relatori del convegno dal momento, come suggerisce la presidente della Copan, che si tratta di un nutrito gruppo di autorevoli esperti di economia dello spazio, alcuni di fama internazionale.
E’ come se parlassi io stessa – osserva Triva – con la differenza che loro parlano con molta più competenza di me in materia. Un mondo nuovo quanto interessante le cui novità si annunciano molto sorprendenti, prima tra tutte la crescita impetuosa registrata negli ultimi dieci anni. “Lo spazio è molto più vicino a noi di quanto pensiamo – spiega Anilkumar D. Dave, Space Economy Advisor VC Partner, già Head of Technology Transfer Unit, Agenzia Spaziale Italiana –. Secondo le statistiche, ogni giorno utilizziamo dalle 25 alle 30 volte tecnologie di origine spaziale, basti pensare alle app di navigazione satellitare. Per il futuro ci sono molte ulteriori possibilità: ad esempio, l’idea di applicare le modalità studiate per la mobilità lunare nel trasporto di acqua e cibo all’interno dei villaggi africani.”“In Italia contiamo circa 200 piccole medie imprese impegnate nel settore spazio, con 2 centri di incubazione, a Roma e a Torino, oltre a 12 distretti tecnologici – aggiunge Marco Di Clemente, Head of Technology Unit Agenzia Spaziale Italiana –. Numeri importanti, che testimoniano anche quantitativamente la crescita conosciuta dall’economia dello Spazio.”“Il settore della Space Economy vale oggi quasi 400 miliardi globalmente, la maggior parte dei quali riconducibili ai servizi – racconta Nicola Pizzolorusso, Head of Product Marketing di Telespazio, giovane ma già affermata azienda bresciana –. Oggi nel settore stiamo assistendo a una forte “democratizzazione”: il costo per lanciare un satellite è crollato, e oltretutto è stato deregolamentato, aspetti che spingono il mercato commerciale, con l’ingresso di nuovi player, per quanto il comparto venga comunque guidato soprattutto da logiche di tipo istituzionale. Le aree di collaborazione con operatori non strettamente legati allo spazio possono riguardare in particolare la componentistica, quale ad esempio la produzione di sensori e antenne, oppure processi di sviluppo condiviso, come in ambito robotico: basti pensare ai bracci meccanici che servono ai satelliti per operare nello spazio e che rimandano a un ambito manifatturiero maturo, come quello bresciano.”
Torniamo alla dottoressa Triva che, giova ripetere, nella sua posizione di vicepresidente di Confindustria Brescia per l’innovazione tecnologica e lo sviluppo digitale ha qualcosa da dire sulla crescita di comparti ad alta tecnologia del territorio bresciano.
Si guardi alla Apogeo Space e ai suoi satelliti grandi come pacchetti di sigarette, e si vedrà come la miniaturizzazione dei componenti sia arrivata ad una fase inimmaginabile fino a pochi anni fa: anche questo esempio fa bene sperare per Brescia e la sua nascente ma promettente industria dello spazio.Guido Parissenti, ceo della Apogeo Space di Brescia citata da Stefania Triva, conferma l’ottimismo della presidente della Copan. “Siamo una start up che mira a realizzare la prima costellazione di picosatelliti, satelliti con dimensioni molto ridotte da 10x10x3 centimetri – dice Guido Parissenti –. In particolare, saranno rivolti all’IoT, che nei prossimi anni conoscerà un importante sviluppo: basti pensare all’agricoltura 4.0, che avrà sempre più bisogno di dati, oppure alla crescente richieste di connettività legata alla gestione delle mandrie negli allevamenti, per conoscere esattamente la loro posizione. La nostra costellazione finale, composta da un centinaio di satelliti, dovrebbe essere in grado di raccogliere questi dati, garantendo appunto una connettività costante e completa, a cui puntiamo di arrivare nel 2027. Oltre agli esempi già citati, potremo applicare la nostra idea al monitoraggio delle foreste e alla prevenzione degli incendi, ma anche alla gestione dei container, e alla loro apertura, nei trasporti marittimi.”
“Partendo dalla computer vision, abbiamo sperimentato un cellulare che scatta foto e gira video – dichiara Mauro Nesti, CEO di Ipre (azienda facente parte delle reti d’impresa bresciane Iobo e M’Apperò) –, analizzando le buche presenti sull’asfalto, attraverso appositi algoritmi di segmentazione. Un concetto applicabile anche ad altri campi, ovviamente, dall’agricoltura all’industria.”
EPPURE C’E’ QUALCOSA, NELLA PERSONALITA’ DI STEFANIA TRIVA, CHE NON VA GIU’ ALLA PRESIDENTE DELLA COPAN: LA CLASSIFICA DI FORBES
Classifica che, secondo il vezzo del calvinismo americano nella sua versione più ortodossa ed estremizzata che ama le classifiche della ricchezza come segno non solo di talento ma anche di grazia divina, nella classifica dei 51 più ricchi d’Italia pone Triva all’ultimo posto ma pur sempre con un patrimonio personale di 1,1 miliardi di euro. Certo siamo lontani dai 33 miliardi di Giovanni Ferrero (lontanissmi, per citare un esempio d’Oltralpe, dal Bernard Arnault di LVMH, l’uomo più ricco del mondo con 211 MILIARDI di euro!) ma si tratta di una pubblicità non gradita a Stefania Triva, che non nascondo il suo disappunto.
No, non mi piace questo tipo di pubblicità, non per falsa modestia o per una sorta di malinteso senso del pudore, trattandosi di denaro guadagnato onestamente, ma le classifiche della ricchezza fatte in questo modo e date in pasto alla pubblica opinione sono dati grossolani e inutilmente enfatici, non certo di buon gusto. Dati e risultati dietro i quali c’è non solo molto lavoro e molto rischio d’impresa, ma anche una buona dose di sostenibilità economica e ambientale e quindi di responsabilità sociale che, per la Copan, si traduce in un Welfare aziendale avanzato e attrezzato di cui andiamo orgogliosi. Questa, semmai, è la classifica che più mi interessa: il benessere e il consenso dei miei collaboratori, il vero patrimonio aziendale, un asset morale che insieme agli asset materiali è un distintivo della nostra impresa.
Ha ragione, l’etica costa, se fosse un affare tutti la applicherebbero. Potremmo dire che è un investimento immateriale a rendimento differito, ma è pur sempre un costo, confortato però da un ritorno morale superiore a quello materiale: il benessere dei collaboratori, il loro convinto consenso partecipato. La fabbrica come comunità. Adriano Olivetti docet. E alla Copan si respira aria olivettiana.