Stefano Cianci Magaldi

ph ©publimax

Erede di una antica famiglia bresciana vive in uno splendido Palazzo dove il palcoscenico si confonde con la platea e l’arte e l’uomo si incontrano

Stefano il tuo cognome non è bresciano ma tu in realtà sei anche bresciano.

In effetti il cognome che porto sembrerebbe avere origini toscane anche se mio padre è di Napoli, le origini bresciane invece le ho ereditate dalla famiglia di mia madre. Mia nonna Maria Panciera di Zoppola è nata e vissuta a Brescia, erede della famiglia Facchi, antica famiglia bresciana e dei Panciera di Zoppola, nobile famiglia friulana imparentata con i Martinengo e per questo motivo bresciana sicuramente da oltre due secoli.

E per questo hai la fortuna di vivere in quella che a tutti gli effetti è una casa museo.

Dalla prima volta che entrai a Palazzo Facchi in Corso Matteotti me ne innamorai, non solo perché è una bellissima dimora settecentesca, riformata verso la fine dell’800 dal famoso architetto Tagliaferri, che per l’occasione collaborò con il pittore bresciano Gaetano Cresseri, autore dei bellissimi affreschi del Palazzo, ma soprattutto per l’energia particolare che fin da bambino ho respirato fra queste bellissime sale. È come se il tempo si fosse fermato in questo luogo, fra mobili e oggetti d’epoca ancora intatti e ben conservati in un’atmosfera quasi fiabesca. Esperienza confermata anche da tutti coloro che sono stati ospiti e si sono sentiti accolti e abbracciati da questa atmosfera antica e speciale. 

È un palazzo molto bello architettonicamente ma altrettanto significativo proprio per la storia della Famiglia Facchi che è strettamente legata a quella della città di Brescia.

Si, una storia molto interessante! Restaurare le sale e ritrovare tutti quegli oggetti e documenti appartenuti alla mia famiglia, mi ha permesso di riscoprire la storia dei Facchi. Generazione dopo generazione sono stati attivi imprenditori nella produzione e commercio delle “ferrarezze”, politici, filantropi, artisti e viaggiatori. I Facchi hanno contribuito allo sviluppo del tessuto sociale ed economico del territorio bresciano. Gaetano Facchi è stato Sindaco di Brescia e nel 1865 costituì la Società Bacologica d’Agricoltura, con sede in Loggia, che condusse sperimentazioni per trovare un rimedio alle malattie che colpivano la gelsibachicoltura italiana e partecipò addirittura al primo viaggio di Pompeo Mazzochi in Giappone nella seconda metà dell’ottocento, alla ricerca del seme-bachi resistente alle malattie. Qui a palazzo c’è ancora un meraviglioso paravento in seta ricordo di quel viaggio.

Ho visto che in occasione delle Giornate del FAI è stato possibile anche visitarla. Tu ci tieni che questa casa possa essere riscoperta dai bresciani.

Riaprire Palazzo Facchi al pubblico, dopo tanti anni, è stato uno dei miei più grandi desideri, desiderio che mi ha accompagnato e spinto a restaurare con passione e pazienza questo luogo rispettandone l’energia e la bellezza.

E finalmente il palazzo ha riaperto accogliendo la comunità bresciana con le giornate Fai e riscuotendo molto successo.

È stato da subito molto apprezzato, probabilmente anche per il fatto di essere una delle poche dimore storiche che ha mantenuto intatto l’arredamento, mobilio e oggettistica, disegnato anch’esso dall’architetto Antonio Tagliaferri. Questo rende le sale del piano nobile un luogo affascinante dove il tempo sembra essersi fermato, e dove tutto è rimasto perfettamente com’era. Devo confessare però che il mio desiderio più grande, venendo dal mondo dell’arte e della lirica ed avendo lavorato con i teatri d’opera e le Accademie in Italia e all’estero, è di poter ridare vita a questi ambienti ricreando uno spazio dove l’arte in ogni sua espressione, dalla musica alla letteratura, dalla poesia alla scultura, dalla videoarte alla pittura, possa essere espressa liberamente all’interno di un luogo che è già arte in sé, in un dialogo diretto quindi tra arte antica e contemporanea. Ho sempre ricercato un rapporto diretto fra l’artista e le persone, eliminando quella divisione e quel confine tra palcoscenico e platea, nel desiderio di ricreare un vero e proprio salotto culturale, luogo di incontro importante, che oggi ormai sembra non esistere più ma che fino alla prima metà del ‘900 era il luogo principale dove gli artisti hanno avuto la possibilità di incontrarsi, confrontarsi ed ispirarsi a vicenda.

Credo che molti sognino di vivere in una casa museo ma dimmi quali sono gli aspetti davvero belli e ce ne sono anche di negativi?

Come dicevo prima è un’eredità culturale ed artistica importante non solo legata alla mia famiglia ma anche al territorio, per questo anche una grande responsabilità. Poter vivere questa bellezza tutti i giorni è sicuramente un’emozione, anche se non vivo direttamente nelle grandi sale, riscaldarle in continuazione sarebbe un’impresa particolarmente onerosa, per quello ho allestito un piccolo bilocale. Come tutte le cose però c’è sempre l’altra faccia della medaglia. Non nascondo che sia stato a volte molto faticoso e difficile restaurare luoghi che da troppi anni sono rimasti chiusi e abbandonati e sicuramente molto impegnativo mantenerli. Come in tutto bisogna essere mossi da una grande passione per continuare a realizzare i propri progetti e desideri. 

So che un tuo caro amico – Nicola Bianco Speroni – sostiene che la tua stanza preferita è il salone d’onore perché ha una acustica perfetta e puoi liberare la potenza della tua voce. È vero?

ahahah sì in effetti Nicola lo sa bene perché mi ha ascoltato proprio in quella sala. Essendo io un cantante lirico, spesso studio e provo vocalmente nella Grande Sala che ha un’acustica bellissima, qui la voce viaggia liberamente ed è sempre una grande emozione! Per questa ragione, con la collaborazione di altri musicisti, sto già pensando a una piccola stagione di concerti a Palazzo.

Com’è nata la tua passione per il canto?

Oserei dire che io sono nato con lei! Non ricordo un inizio o un’esperienza specifica che mi abbia fatto comprendere la mia passione per il canto, ho sempre cantato fin da piccolissimo e persino i miei raccontano sempre che già da quando avevo solo 4 anni cantavo davanti a chiunque. Direi che il canto per me è sempre stato qualcosa di istintivo con cui sono cresciuto e spesso mi  ha aiutato e mi aiuta tutt’ora a superare momenti difficili e a canalizzare l’energia.

La tua formazione musicale e canora è avvenuta a Roma ma anche in Germania?

Si la mia formazione professionale è iniziata a Roma con l’ammissione al Conservatorio di Santa Cecilia già giovanissimo, da quel momento ho iniziato la mia esperienza professionale nel canto lirico. Durante la formazione canora già prendevo parte come corista a concerti ed opere importanti, facendo Tournée con grandi direttori e artisti, fra cui anche le tournée con il M° Morricone in tutta Europa, esperienze fondamentali per la mia formazione. Ho iniziato poi la mia carriera solista nei teatri e nei festival lirici e musicali e dopo essermi diplomato al conservatorio sono partito per specializzarmi in Germania. Da lì ho iniziato a vincere alcuni concorsi e seguire Master e Accademie di perfezionamento con i più grandi nomi del teatro lirico in Italia e in Europa.

Oggi quanto ti impegna ancora lo studio?

Ovviamente dipende dal periodo e da cosa sto studiando o preparando in quel momento. Non è tanto il tempo del canto effettivo, a volte per quello può bastare anche mezz’ora, ma è soprattutto lo studio dell’opera e dello spartito, lo studio sull’interpretazione, sull’autore e sul ruolo, memorizzare intere pagine di musica e testo, quindi con uno sforzo mnemonico non da poco, analizzando le dinamiche, l’intenzione e l’espressività. Uno studio complesso e lungo ma anche un viaggio in me stesso che mi ha portato tante soddisfazioni. 

Per un cantante è fondamentale il momento dell’esibizione in pubblico. Il momento artistico si crea proprio nel dialogo tra artista e pubblico. Tu come vivi questa dimensione?

Per me il momento artistico è il saper canalizzare l’ispirazione universale grazie al dono del talento che bisogna coltivare e potenziare continuamente attraverso uno studio metodico ed una maturazione di consapevolezza. Spesso è proprio nel momento del contatto con gli altri e con il pubblico che ci si confronta realmente con se stessi, solo così l’espressività artistica matura e si completa, si comprendono realmente i propri limiti ed è in questa sfida che si trova la via per superarli e crescere davvero. È sicuramente un momento emozionante per me ma inizialmente non facile. In questa dimensione vengono fuori tutte le paure e le insicurezze, è lì che inizi a capire cosa significhi il coraggio e la concentrazione, prendersi la responsabilità in toto di ciò che fai. Questo soprattutto in una produzione teatrale dove l’opera lirica è il frutto di fatica e professionalità da parte di tantissime maestranze, qualunque ruolo tu possa interpretare sai di essere una delle colonne portanti di quel progetto e se molli la presa o ti distrai rischi di far crollare tutto. 

Hai qualche concerto che ricordi con particolare soddisfazione per la risposta del pubblico o per l’emozione del luogo?

Forse una delle esperienze che sicuramente mi ha emozionato, per la particolarità del ruolo, è stata al teatro Verdi di Pisa dove ho interpretato Macheath, protagonista dell’Opera da tre soldi di Weill/Brecht. Non era infatti un ruolo solo da cantare ed interpretare ma anche da recitare avendo moltissimi momenti di teatro di prosa. Studiai molto e feci un grande lavoro attoriale per prepararmi ad affrontare quel personaggio, imparai davvero tanto di me stesso interpretando il ruolo. E poi non posso dimenticare il ruolo di Maometto II nei teatri in Germania, la mia  prima opera seria di Rossini che amo follemente, una sfida per la grande difficoltà vocale ed interpretativa che mi ha donato grande soddisfazione.

Il pubblico bresciano com’è?

L’ho trovato un pubblico molto attento, partecipe e culturalmente vitale. Di questo mi sono accorto soprattutto quando ho collaborato con il teatro Grande ad alcuni progetti che richiedevano un contatto diretto con il pubblico, come i concerti in vari luoghi storici e di incontro, la Festa dell’opera ed il Grand Tour del Teatro Grande, occasioni in cui il rapporto con le persone è stato stretto ed amichevole. Lì mi sono accorto di quanta attenzione ed entusiasmo i bresciani hanno per l’espressione artistica. Una emozione che mi hanno comunicato fin da subito coinvolgendomi molto di più di quanto pensassi.

Se avessi la bacchetta magica su quale palco ti piacerebbe cantare?

Probabilmente oggi sceglierei un teatro dell’Opera sul mare, magari come quello di Sidney 😉

Nel grande repertorio della musica operistica quali sono i tuoi ruoli preferiti?

Sono tantissimi in effetti. In questo momento quelli che amo di più cantare sono i ruoli rossiniani e ruoli d’opera barocca, da basso baritono di coloratura, dove poter esprimere la mia vocalità riscrivendo variazioni velocissime per la voce come Mustafà nell’Italiana in Algeri, il Maometto II e diversi ruoli nelle opere di Handel che adoro. Sono sempre stato comunque appassionato di ruoli molto teatrali come Figaro e il Conte delle nozze di figaro di Mozart, adoro Don Giovanni e Leporello, Papageno nel flauto magico etc 

Credo che ogni nostro lettore a questo punto sia curioso di sentirti quando canti nel tuo salone. Dobbiamo chiedere a Nicola di aprirci di nascosto o pensi che potremmo organizzare una volta?

ahah ma certo, vi aspetto tutti a palazzo Facchi per aprirvi alla storia e all’arte! Spero presto di poter organizzare dei veri e propri concerti, ma fino a quel momento sarò lieto di cantare per chi vorrà venirci a trovare 😉 Vi aspetto

Total
0
Shares
Previous Article

Giuseppe Veneziano: la new pop siciliana che attraversa l'Europa

Next Article

Alla Newton maturi si diventa

Related Posts
Processing...
Thank you! Your subscription has been confirmed. You'll hear from us soon.
ErrorHere