Valori autentici, cucina come eterna passione

La natura è stata la sua culla primordiale, in quella Valle Camonica profondamente ancorata  all’autenticità dei prodotti e delle attività di montagna. É l’intensa sperimentazione, viscerale, istintiva  e passionale quella che realmente contraddistingue  Nicola Fanetti, lo chef bresciano che oggi sta scalando i vertici dell’alta ristorazione scandinava. Mai banale, mai scontato. Il suo ingrediente preferito? Il pino. E vi ho detto tutto, o quasi. 

Dalla Valle Camonica a Copenaghen.

Da dove è nata la tua voglia di fare cucina?

La mia fortuna più grande è stata senza dubbio quella di crescere in mezzo alla natura, agli ingredienti, agli animali e ai miei nonni, sia materni che paterni che mentre i miei genitori lavoravano si occupavano di me educandomi proprio verso questi valori e principi. Possedavano infatti un grande orto e coltivavano frutta e verdura, allevavano maiali e galline e non per ultimo cucinavano, cucinavano sempre. Io sin da piccolino li osservavo affascinato, esploravo i processi di maturazione degli ortaggi, la mungitura delle vacche sino al completamento di quella piccola filiera di famiglia con la produzione di formaggi. L’amore per il cibo fu innegabilmente viscerale quel qualcosa di innato che accompagnò ogni mia esperienza. Osservavo instancabilmente la nonna ai fornelli e il nonno alla griglia, un maestro, che dalla marinatura alla getione della fiamma mi insegnò tutti i suoi trucchi. Una volta rientrato a casa, dai miei genitori che gestivano un supermercato nella zona, consapevole delle loro difficoltà nel portare in tavola piatti più o meno elaborati preferendo una cucina sicuramente più sbrigativa e poco gustosa decisi di cucinare per loro lasciando così erompere quella passione che giorno dopo giorno stava maturando dentro di me. Il momento che più mi appagava stava comunque in quel senso di convivialità che suggeriva il cibo stesso: la cena, gustata con tranquillità, tutti insieme intorno a un tavolo, le chiacchiere, la soddisfazione, la contentezza, occasioni di gioia. In quel momento decisi cosa avrei voluto fare da grande. Una vocazione talmente precoce che mi permise di pianificare un piano di studi ben delineato che si concluse in ALMA, la Scuola Internazionale di Cucina Italiana, fucina di grandissimi talenti.

La tua “palestra” ai fornelli quindi è stata la cucina di montagna, laddove sapori e tradizioni prevalgono…

Sicuramente vivere lontano da cibi pronti, precotti e opportunità di delivery è stato performante sotto questo punto di vista. É una cucina che invita a sapori intensi, tradizionali, estremamente vincolata a quello che offre la terra.

Dove hai mosso i primi passi?

Una volta conclusi gli studi, a vent’anni, la mia prima esperienza fu al Miramonti L’Altro. Lavorai per due anni nella cucina di Philippe Léveillé un lasso di tempo breve ma che si tradusse in un’esperienza unica. Cresceva in me la necessità di costruire qualcosa di mio, di identificarmi con uno stile particolare che rispettasse quelle che erano le mie vere attitudini. Scelsi la Danimarca, a priori, e nel 2011 partii per Copenhagen.   Il mio desiderio principale era quello di allenare la mia mente, sfamarmi di conoscenza e ritrovai proprio in questi luoghi quelle origini che mi fecero innamorare di questo lavoro. Lavorai dapprima per “Era Ora”, ristorante 1 Stella Michelin. Entrare nella brigata del Noma rappresentò però il mio vero obiettivo, il tre stelle Michelin premiato più volte come uno dei migliori al mondo. Da Noma rimasi otto mesi. Desideravo conoscere una nuova cultura gastronomica fortemente attratto da questo più intimo rapporto con il cibo, con la natura, con i fornitori, condizioni che mi fecero rivivere quelle che furono le mie origini. In questa città puoi davvero sperimentare, osare e spingerti oltre e il mio interesse così viscerale per l’agricoltura biologica e la passione per quei tanti piccoli produttori scandinavi mi suggerii la giusta direzione da intraprendere. Decisi quindi di aprire “Brace”, il mio ristorante, presentando uno stile ed una cucina che andasse ben oltre i classici canoni ispirati dal tricolore.

Tradizione italiana e influenza danese? Cosa bolle in pentola da Brace?

É veramente complicato poterti raccontare cosa ho ereditato dall’Italia e cosa ho invece assorbito dalla Danimarca. La mia è senza dubbio una cucina moderna, non la classica cucina italiana per intenderci. Ciò che attingo dalla nostra cultura è la semplicità nei sapori che amo difendere e offrire in maniera schietta, pulita e quasi minimale.  Utilizzo pochi ingredienti e cerco di conservare al massimo il gusto e l’intensità dei sapori. Dalle nostre ricette tradizionali molto spesso “rubo” una particolare tecnica, come un ingrediente, una cottura ma ciò che ho appreso dalla verve scandinava è la grande sperimentazione, la pulizia, l’estetica e le tecniche di impiattamento. Amo esplorare nuovi sapori, differenti tecniche di preparazione, nuovi ingredienti, cercando sempre di offrire ai miei ospiti un’experience totalmente nuova.

Per la materia prima da dove attingi?

Il 95% dei prodotti che utilizzo sono danesi e solo il 5% proviene dall’Italia.  Con questo non voglio nè preferire nè discriminare nessuno, rappresenta una scelta assolutamente consapevole per la ricchezza e la vasta scelta che oggi come oggi il mercato dei paesi nordici è in grado di offrire.  La Danimarca negli anni ha saputo evolversi in termini di produttori, questo grazie all’aumento delle temperature, non più così rigide, che hanno permesso al settore agricolo di migliorare gradualmente.

Qui vengono coltivati moltissimi prodotti contraddistinti da un’altissima qualità. Si trova un po’ di tutto, dai pomodori al peperoncino, dai kiwi ai fichi sino alla vastità delle erbe aromatiche. Non credo che la materia prima italiana sia veramente la più buona a priori, da cuoco devi essere capace di adattare la tua cucina alla disponibilità dei prodotti che trovi. Questo è importante anche sotto il punto di vista della sostenibilità. Nella mia poi, che è una cucina basata principalmente sul sapore e sulla qualità della materia prima, la cultura dell’ingrediente rappresenta un aspetto predominante. Diciamo che mi adeguo alle caratteristiche degli ingredienti, questo per me è fare cucina.

L’ingrediente immancabile?

Il pino, i suoi germogli, i suoi aghi e anche le sue gemme. Le piccole ghiande, ad esempio, sono ottime caramellizzate. Con questi ingredienti puoi creare una piccola pasticceria straordinaria. É il prodotto che sicuramente utilizzo maggiormente proprio perchè anche durante il corso delle stagioni può presentarsi in declinazioni diverse. Un ingrediente insolito ma che ricorda fortemente le mie origini.

Se dovessi presentare Brace con quali aggettivi lo descriveresti?

Intenso, a livello di gusto, minimale a livello di numero ingredienti e di impiattamento e assolutamente creativo, perchè nulla è mai scontato o banale. É una cucina connotata da una forte identità. 

Qual è il piatto che maggiormente ti distingue?

Oggi, che sicuramente sto vivendo il periodo più maturo del mio percorso, posso reputare un ottimo biglietto da visita il nostro antipasto di pesce e quello vegetariano. Il nostro astice danese viene cotto confit in un grasso di ‘nduja, insaccato che viene prodotto qui da un salumiere danese, lo serviamo con una crema di peperone e lo finiamo con del finocchietto. L’antipasto vegetariano invece non è altro che una crema di cipolle abbinata al topinambur caratterizzato da diverse note aromatiche, cotto prima al vapore e poi grigliato, lo adagiamo su un burro affumicato connotato da una forte intensità di gusto e lo componiamo con delle erbe a cerfoglio, capaci di sprigionare note molto aromatiche di arancia e liquirizia. Infine copriamo il tutto con sfoglie di sedano rapa laccate con salsa al tamarindo. Gusti complessi ma molto minimali, ricchi di gusto e diversi strati di sapore.

Quanta ricerca…

É la parte più bella del mio lavoro. Sperimento di continuo, è un mood che mi ha sempre descritto sin da quando ero bambino.  Questa particolare predisposizione è come se fosse un richiamo naturale. Coinvolgo in questa ricerca e in tutte queste fasi tutto il mio team perchè reputo fondamentale il confronto, lo scambio di opinioni. 

Chi è stato il tuo mentore o il tuo grande maestro in cucina?

Ho avuto un maestro importante, Philippe Leveillè, colui che mi ha svezzato a livello di cucina. Gli anni al Miramonti L’Altro hanno rappresentato quel momento decisivo che mi fece davvero capire quale direzione avrei dovuto intraprendere. Con Philippe ho sempre puntato all’alto livello, sì, è stato un periodo “duro”, ferreo e rigido ma ricco di significati.Un altro chef che apprezzo e stimo è Niko Romito, essenziale, preciso con una coerenza di pensiero pazzesca. Lui rappresenta davvero una forte ispirazione non solo a livello di cucina ma anche dal punto di vista imprenditoriale. Diciamo che Romito, Alajmo, Bottura e i fratelli Cerea sono gli chef che mi piace osservare.

Se esci a cena cosa ordini?

La semplicità. In questo momento della mia vita difficilmente mi lascio attirare da esperienze stellate. La pressione di questo lavoro, lo stress e gli impegni quotidiani mi conducono a desiderare pause più easy senza troppi focus. Mi lascio quindi sedurre da qualcosa di più tranquillo, scelgo ad esempio una cucina dinamica, fresca, giovane, moderna, come le trattorie danesi dove molti chef internazionali portano i loro trend. Mi piace inoltre la cucina messicana così come quella asiatica.

Di recente sei stato insignito nella lista dei “Migliori ristoranti taliani nel mondo” 2023, cosa rappresentano questi traguardi?

Sono molto orgoglioso di averlo ricevuto. Noi non lavoriamo per le guide e per i premi perchè ci appaga maggiormente la soddisfazione del cliente. Queste gratificazioni però rappresentano quelle cariche di energia che ti aiutano a spingere l’asticella sempre più in alto. Sono “ricompense” personali e collettive che fanno bene al settore, del resto il nostro è un lavoro duro, carico di sacrificio, sempre sotto pressione, riconoscimenti come questo sono quella famosa pacca sulle spalla in più che vorresti ricevere. 

Torni in Italia ogni tanto?

Difficilmente, io qui sto bene, vivo bene. Ho una bimba di 5 anni che tra poco inizierà la scuola qui a Copenhagen di conseguenza saranno sempre meno frequenti i miei viaggi verso l’Italia. Copenhagen in fondo è un po’ come Brescia, più calma, meno caotica, c’è tanto da vedere e c’è tanto da visitare e poi vivi nell’immensità della natura, quello che mi affascina di più. 

Obiettivi per il futuro?

Vorrei creare un ambiente di lavoro sempre migliore per me e per i miei ragazzi. Vorrei incrementare il benessere ma anche espandermi ed aprire altri locali di diverso target e tipologia. In questo periodo desidero concretizzare delle idee e lavorare per diventare il  punto di riferimento della cucina italiana in Scandinavia. Abbiamo le carte in regola per conquistare questo obiettivo proprio perchè siamo differenti e spero davvero di riuscirci.

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